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In Messico solo il sisma può fermare i genitori dei 43 di Ayotzinapa

In Messico solo il sisma può fermare i genitori dei 43 di AyotzinapaGuadalajara, Messico, la protesta del 26 settembre 2016 – Efe

Tre anni dopo Il Paese ricorda oggi 26 settembre la scomparsa forzata degli studenti dello stato del Guerrero. E chi in tutto questo tempo ha lottato per conoscere la verità sulla loro sorte ha deciso di ripensare le iniziative previste per l'anniversario nella capitale in solidarietà con i terremotati

Pubblicato circa 7 anni faEdizione del 26 settembre 2017

Alla scuola «Isidro Burgos» di Ayotzinapa, stato messicano del Guerrero, si vivono giornate concitate. I due terremoti dell’8 e 19 settembre che hanno sconvolto il centro e il sud del Messico, facendo 450 vittime, hanno obbligato i genitori dei 43 studenti desaparecidos a rivedere i piani e le attività previste a tre anni dalla sparizione forzata dei loro figli.

«CAPIAMO IL VOSTRO DOLORE perché da tre anni non sappiamo nulla dei nostri 43 figli e sappiamo che i nostri fratelli a Città del Messico ci hanno teso la mano e aperto le porte della città per la nostra battaglia, per cui abbiamo deciso di sospendere alcune delle attività programmate», recita il comunicato inviato in solidarietà coi terremotati dal Comitato dei genitori di Ayotzinapa.

DA UN MESE A QUESTA PARTE in tutto il paese i solidali del movimento realizzano attività culturali e di protesta in vista della fatidica data di oggi, 26 settembre, XXXVI Giornata d’Azione globale per Ayotzinapa, ma l’intensità delle iniziative è diminuita dopo il sisma che ha paralizzato centri importanti come Puebla, Cuernavaca e Città del Messico e ha dirottato gli sforzi della gente sugli aiuti alle vittime.
«Sono passati tre anni e non abbiamo risposte concrete, il governo non ha interesse ad arrivare alla verità sui nostri figli e punta a stancarci, ma non ci arrenderemo», spiega al telefono Cristina Bautista, madre di Benjamín, uno dei 43 studenti. «Abbiamo sempre perseverato con le nostre proteste per le strade, l’altro ieri eravamo all’aeroporto internazionale di Acapulco per volantinare e sensibilizzare i viaggiatori, poi abbiamo occupato un casello autostradale come strategia per farci sentire e questo andrà avanti fino a che i nostri figli non saranno presentati in vita», precisa Cristina.

LA NOTTE TRA IL 26 E IL 27 settembre 2014 un gruppo di studenti della Scuola Normale di Ayotzinapa, che si trovava nella vicina città di Iguala, subì una serie di aggressioni dalla polizia in combutta con membri del narco-cartello dei Guerreros Unidos. L’attacco contro i ragazzi, monitorati dalle autorità mediante il Centro di controllo C4, durò più di quattro ore e vi presero parte la polizia locale, la federale, la statale e l’esercito, le cui unità erano presenti e non intervennero in loro difesa, anzi si dedicarono a vessarli. Il saldo fu di quaranta feriti, 6 persone uccise, tra cui 3 studenti, e 43 desaparecidos.

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NEI GIORNI DOPO LA STRAGE il caso Ayotzinapa ha fatto il giro del mondo e ha esposto il governo del presidente Enrique Peña Nieto allo scrutinio internazionale e alle critiche di una società indignata che ha articolato un movimento imponente nelle piazze. «Dopo la notte di Iguala nello stato del Guerrero è scoppiata una vera e propria insurrezione col movimento per i 43, con il boicottaggio del voto del giugno 2015 e coi gruppi di polizia comunitaria», spiega al manifesto Ludovic Bonleux, autore del documentario Guerrero.

Ma mentre per le strade si chiedeva «verità e giustizia per i 43» al grido di «vivi li han portati via, vivi li rivogliamo», il Procuratore generale della Repubblica, Jesús Murillo, fabbricava una narrazione tossica, la cosiddetta «verità storica», costruita con l’uso di tortura e alterazione delle prove per limitare al solo ambito locale le colpe e coprire il governo.

«DOPO LA CAMMINATA pacifica nella capitale il 26, ci riuniremo ad Ayotzinapa per cercare nuove strategie e la battaglia proseguirà, altrimenti passa l’idea che il governo può ammazzare o far sparire la gente e non succede nulla. Noi insistiamo sui 4 punti che la Commissione interamericana dei Diritti umani ha chiesto al Messico di chiarire – spiega Cristina -: il ruolo del 27° battaglione a Iguala, la sorte di 25 studenti condotti a Huitzuco da federali e polizia locale, i tabulati dei cellulari dei ragazzi, usati anche dopo la loro sparizione, la pista del traffico di droga tra Iguala e Chicago come movente del crimine».

Il costo sostenuto dal governo messicano per non aver indagato sulla sparizione forzata dei 43 è inferiore al prezzo che dovrebbe pagare se uscisse la verità”, ha dichiarato David Fernández, rettore dell’Università Iberoamericana in prima linea sul caso Ayotzinapa.

ANCHE QUESTO 26 SETTEMBRE la protesta per i diritti umani violati e i crimini di lesa umanità riecheggia in Messico grazie al coraggio dei genitori dei 43 studenti e degli altri 32mila desaparecidos messicani a cui non importa il prezzo da pagare per ottenere verità e giustizia.

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