Sedici donne uccise, in media, ogni giorno. Oltre 17mila negli ultimi tre anni. Un numero che però arriva a ventimila considerando le donne ancora oggi scomparse e di cui non si hanno notizie. Sono questi i dati dell’Osservatorio nazionale cittadino del femminicidio (OCNF) citati da Gabriela Amores, portavoce dell’Unione nazionale delle avvocate e tra le organizzatrici del Contingente 25N, nel corso di una delle conferenze stampa di avvicinamento alla manifestazione che si è tenuta alcuni giorni fa al Museo delle donne di Città del Messico per denunciare come sia l’impunità una delle cause di questa carneficina: «Solo l’1% dei casi in cui la vittima è una donna ha un vero processo giudiziario e arriva a sentenza» ha denunciato Amores.

Il 25 novembre, in occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, «scenderemo in piazza per chiedere giustizia e sostenere le famiglie delle donne uccise».

Ad aprire il corteo saranno proprio le madri delle vittime. La manifestazione partirà dal Monumento all’indipendenza e, passando dalla Glorieta de las mujeres que luchan, rotonda del Paseo de la Reforma che dal 2021 è un’installazione artistica dedicata alla donne combattenti, arriverà allo Zócalo, di fronte al Palazzo Nazionale, dove più di quattromila sagome – «figlie, sorelle e amiche assassinate» – ricorderanno al governo l’urgenza di affrontare la violenza di genere in Messico.

COME OGNI ANNO, sarà una manifestazione «difficile, per non dire pericolosa, per le decine di migliaia di donne che parteciperanno» ci spiega Silvia Ruiz di Rompe el miedo (Rompere la paura), rete di giornalisti e attivisti dei diritti umani per monitorare le manifestazioni nata nel 2013 in occasione del tragico anniversario del massacro noto come El Halconazo: era il 10 giugno 1971 quando il reparto paramilitare dei Los Halcones (i falchi) uccise 225 studenti che stavano protestando contro il governo allora guidato da Luis Echeverría Álvarez.

«DA NOVE ANNI LA RETE di giornalisti e attivisti dei diritti umani segue i cortei per documentare eventuali provocazioni e aggressioni da parte delle autorità», continua Ruiz, «e anche quest’anno saremo in piazza fin dalla mattina per seguire in tempo reale gli avvenimenti, denunciare incidenti, occuparci della sicurezza dei manifestanti». Per tutta la giornata «documenteremo eventuali attacchi alla marcia e saremo in contatto con le autorità di Città del Messico per denunciare eventuali violazioni da parte degli agenti di polizia». Un fenomeno, questo, che negli anni ha portato la rete a diffondere prima di ogni evento ritenuto a rischio – un corteo così come un appuntamento elettorale – un vero e proprio vademecum per i giornalisti e per gli attivisti dei diritti umani, «i primi a finire nel mirino di chi ha interesse a invisibilizzare le proteste, se non a provocare scontri per poterle poi criminalizzare».

LE RACCOMANDAZIONI per domani sono diverse: «Nessuna deve muoversi da sola; maglie viola o con simboli della protesta e della lotta femminista vanno indossate solo durante il corteo; il telefono deve essere sempre carico; a fine corteo evitare di girare per la città in piccoli gruppi». Perché «quella di domani sarà una giornata di lotta a tutti gli effetti».

Il contrasto alla violenza di genere sarà uno dei principali temi dell’ormai prossima campagna elettorale. A giugno il Messico sarà chiamato a scegliere il successore di Andrés Manuel López Obrador e il partito Movimento rigenerazione nazionale (Morena) ha individuato nell’ex sindaca di Città del Messico, Claudia Sheinbaum, la candidata alla presidenza. La sfida sarà con un’altra donna: la conservatrice Xóchitl Gálvez. A ridosso del 25 novembre, Sheinbaum ha lanciato la sua prima proposta sul tema: una procura ad hoc che si occupi della violenza di genere, «non solo di femminicidi».

La nuova fiscalía «dovrà muoversi fin dal momento della denuncia, ad esempio, per allontanare l’aggressore da casa. Oggi la prima misura preventiva è trovare un luogo sicuro per la donna che denuncia il proprio marito o compagno. Ma non può continuare così. A doversi allontanare deve essere chi aggredisce, non chi è aggredito».