Come ampiamente previsto, nessuno dei candidati è riuscito a superare la soglia del 50% nel primo turno delle elezioni presidenziali in Iran. Tutto è stato rimandato al secondo turno. Il candidato riformista, Masoud Pezeshkian, ha ottenuto il 42% dei voti, seguito da Saeed Jalili, candidato ultra-conservatore, con il 38% dei voti, mentre il presidente del parlamento, Bagher Ghalibaf, ha concluso la sua corsa con un deludente 13%. Il dato più rilevante è che solamente il 40% degli elettori ha partecipato alle elezioni nella Repubblica Islamica, segnando così un record negativo di affluenza.

L’AYATOLLAH Khamenei, leader del paese, ha espresso il suo voto a Teheran la mattina dell’apertura delle urne, affrontando direttamente le segnalazioni di scarso coinvolgimento. «Alcuni sono indecisi», ha dichiarato. «Non c’è giustificazione per l’indecisione. La continuità della Repubblica Islamica dipende dall’affluenza e dalla partecipazione del popolo».

Per i religiosi al potere, che vedono la partecipazione degli elettori come un indicatore cruciale della propria legittimità, la bassa affluenza rappresenta un grave colpo. La situazione è ulteriormente complicata dal fatto che oltre il 4% dei voti è stato dichiarato non valido. Inoltre secondo molti osservatori all’interno del paese, una parte di coloro che hanno partecipato lo ha fatto per timore, costrizione lavorativa o sussistenza.

Neanche il candidato riformista è riuscito a superare la sfiducia popolare, che rappresentava la sua principale sfida. La sfiducia e l’apatia popolare hanno portato molte persone a disertare le urne, persone che altrimenti molto probabilmente avrebbero votato per un riformista. L’assidua adesione di Pezeshkian alla linea politica del sistema ha avuto un impatto negativo. La popolazione ha percepito che Pezeshkian non aveva né la capacità né la volontà di sfidare le leggi repressive, e le sue promesse di migliorare la situazione economica non sono state convincenti.

Anche la credibilità dell’intero Fronte Riformista, guadagnata durante il governo del presidente moderato Khatami, sembra essere svanita nel tempo. Il conformismo dei riformisti alla politica dominante senza una resistenza significativa e la mancanza di una presa di posizione ferma contro la dura repressione del movimento “Donna, Vita, Libertà” hanno contribuito a questo deterioramento.

IL CALO DELL’AFFLUENZA è un segnale di allarme che rivela il diffuso malcontento e la sfiducia che pervadono molte classi sociali, evidenziando un crescente disincanto tra i giovani e le donne esclusi dalla vita politica e sociale. Il malcontento non si limita agli oppositori e ai disillusi che disertano le urne. Nonostante la diminuzione dell’affluenza, il fatto che Pezeskhian abbia ottenuto la maggioranza dei voti suggerisce che anche una parte della popolazione tradizionalmente favorevole al sistema abbia trovato il candidato riformatore più affidabile rispetto ai leader della fazione conservatrice.

L’aspra lotta nella campagna elettorale tra due conservatori testimonia il conflitto interno tra le due anime dei tradizionalisti. Nonostante molti leader del clero avessero sostenuto Ghalibaf, è emerso Said Jalili.

Jalili, ex capo negoziatore sul nucleare e segretario del Consiglio Supremo di Sicurezza, è considerato più rigido di Ghalibaf dal punto di vista ideologico: pone l’accento sull’autosufficienza del paese e sulla resistenza all’influenza occidentale. Il suo stretto allineamento con i leader e le fazioni ultra-conservatrici religiose lo rende simile al controverso ex-presidente ultra-conservatore Ahmadinejad, poco gradito agli occhi della popolazione.

POCHE ORE dopo l’uscita dei risultati, Ghalibaf ha chiesto ai suoi sostenitori di appoggiare Jalili. Questo potrebbe far sembrare che con il sostegno di Ghalibaf e dei suoi sostenitori la strada per la vittoria al secondo turno sia spianata per il candidato ultra-conservatore.

Tuttavia, gli osservatori interni sottolineano che, data la lunga storia di conflitti e il divario ideologico evidente anche nell’attuale parlamento, il sostegno di Ghalibaf potrebbe essere solo superficiale. Il presidente del parlamento sa bene che, con un parlamento dominato dagli ultra-conservatori, la vittoria di Jalili metterebbe a rischio la sua carriera politica.

Inoltre, nonostante il candidato riformista non sia riuscito ad attirare un numero maggiore di elettori, è riuscito a condurre una buona campagna in sole due settimane, senza una struttura preparata in precedenza. Ora ha una seconda chance per convincere la popolazione e salvare il paese dal pensiero fondamentalista che Jalili rappresenta. Lo slogan è già pronto: «Forse un presidente riformista non può fare tanto, ma un fondamentalista al potere può fare molto male al paese».