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In India rivolta dei contadini «demonetizzati»

In India rivolta dei contadini «demonetizzati»Un contadino di Jammu con il suo raccolto di cavoli in attesa di acquirenti – Ap

Prezzi ortofrutticoli in picchiata, in ginocchio le aree rurali. Ma il monsone non c’entra. La polizia spara nel Madhya Pradesh: 6 morti. La svolta digitale decisa a novembre e la scomparsa dei contanti vera causa del disastro

Pubblicato più di 7 anni faEdizione del 27 giugno 2017

Le prime avvisaglie sono arrivate all’inizio del mese di giugno, quando decine di migliaia di contadini hanno iniziato uno sciopero generale nello stato del Maharashtra, che circonda la capitale economica indiana di Bombay. Uno stop totale della fornitura di frutta, verdura e latticini, strade bloccate da litri di latte e chili di ortaggi versati sull’asfalto per protestare contro un crollo drammatico dei prezzi dell’ortofrutticolo sul mercato nazionale. Il tutto nel bel mezzo della stagione arida premonsonica, solitamente caratterizzata da scarsità di offerta nell’ortofrutticolo e, di conseguenza, con flessioni verso l’alto dei prezzi all’ingrosso presso l’equivalente indiano dei nostri mercati generali – i «mandi» – e a cascata fino al carretto di frutta e verdura sotto casa.

IN QUESTI MESI TORRIDI del 2017 è successo l’esatto contrario, con le leggi del mercato libero a trascinare in picchiata le quotazioni di patate, cipolle, pomodori, latte, soia, piselli… l’intero paniere tradizionale di ogni famiglia indiana, indipendentemente da classe, religione o latitudine, tutto in svendita talvolta a metà prezzo rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.

La ragione, secondo le prime analisi in modalità damage control dei media meno schierati contro il governo Modi, indicavano una naturale contrazione dei prezzi dovuta a un eccesso di produzione dell’anno precedente, quando l’India centrale aveva goduto di una stagione monsonica al di sopra delle aspettative. Ma mentre la protesta si allargava a macchia d’olio contagiando anche il vicino stato del Madhya Pradesh – già esaltato a «modello di efficienza agricola» sotto l’amministrazione di Shivraj Singh Chouhan – ha iniziato a prendere piede una lettura decisamente più pessimistica, legata alla storica demonetizzazione del novembre 2016.

L’8 novembre scorso il primo ministro Narendra Modi annunciava a sorpresa la messa fuori corso di tutte le banconote da 1000 e 500 rupie (rispettivamente 13 e 6 euro, arrotondando), pari all’86% della cartamoneta in circolazione nel paese. Una manovra che costrinse centinaia di milioni di indiani a code chilometriche fuori dagli sportelli bancari, con un credit crunch di dimensioni subcontinentali che, si diceva, avrebbe colpito debolmente i consumi: una «sofferenza necessaria e temporanea» per debellare insieme la piaga della corruzione e delle banconote contraffatte, per un’India più «pulita» e moderna, pronta alle gioie del pagamento digitalizzato.

MENTRE NELL’INDIA URBANA, tra instant payments sulle app degli smartphone e strisciate di carte di debito, tutto sembrava progressivamente tornare alla normalità, lontano dagli occhi e dal cuore, in quell’India rurale dove vive ancora quasi il 70% della popolazione totale, si consumava un disastro economico di cui solo oggi si iniziano a scorgere gli effetti.
Volatilizzati i contanti, le attività economiche legate all’agricoltura – che secondo le ultime statistiche governative impiega ancora il 46% della forza lavoro indiana – condotte tradizionalmente attraverso l’uso di contanti hanno subìto una paralisi immediata, innescando una reazione a catena che ha investito l’intero settore ortofrutticolo.

CON POCHI SOLDI IN GIRO e senza il lusso di poter commerciare un prodotto non deperibile, produttori e rivenditori hanno iniziato a svendere prima che tutto fosse da buttare: meglio prendere la metà che niente.

Il mercato, trascinato al ribasso, non è stato calmierato a sufficienza dai sistemi di controllo dei prezzi già esistenti nell’ordinamento indiano come i Minimum Support Prices (Mps) fissati dal governo per acquistare all’ingrosso alcuni prodotti agricoli (in particolare riso e legumi) – un meccanismo al quale i governi locali ricorrono ma in quantità troppo esigue per incidere sul prezzo generale – lasciando centinaia di migliaia di contadini «scoperti» sui debiti accumulati l’anno precedente con le banche. Operazione regolare per comprare sementi, pesticidi e irrigare i raccolti, in attesa di incassare dividendi con cui ripianare il debito e prepararsi per la stagione successiva.

PER QUESTO, oltre all’aumento degli Mps fino a + 50% del costo di produzione, pensioni per i braccianti over 60 e elettricità gratuita per 8 ore al giorno, tra le richieste arrivate dai manifestanti di Maharashtra e Madhya Pradesh ai rispettivi governi locali figurava anche la cancellazione orizzontale del debito bancario del 2016 per l’intero settore. Una misura già accordata nel mese di aprile dall’amministrazione dell’Uttar Pradesh e ora, più o meno entusiasticamente, accettata anche dai chief minister di Maharashtra e Madhya Pradesh (tutti esponenti del Bharatiya Janata Party di Narendra Modi), costretti a scendere a patti con un movimento apolitico che rischiava di deflagrare in violenze di massa (in Madhya Pradesh, la scorsa settimana, negli scontri tra contadini e polizia ci sono stati sei morti, con le forze dell’ordine a sparare contro i manifestanti).

IN UN LUNGO ARTICOLO-MEA CULPA pubblicato sul magazine online Swarajya – espressione della destra liberista indiana – R Jagannathan, tra i più ferventi sostenitori della demonetizzazione di novembre, ammette che i costi della DeMo hanno ormai di gran lunga superato i benefici. Le previsioni di Bank of America – Merryl Lynch, riporta Swarajya, indicano che da oggi alle elezioni nazionali del 2019 la cancellazione dei debiti dei contadini indiani costerà alle casse dello Stato più di 40 miliardi di dollari, pari al 2% del Pil nazionale.

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