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In Georgia l’accusa di broglio solo sussurrata, l’oligarca vince e fa già paura

Una protesta dell'opposizione contro i risultati delle elezioni parlamentari a Tbilisi, in Georgia (Shakh Aivazov, Ap)Un giovane partecipante alla protesta, ieri a Tbilisi, dopo la vittoria di Sogno Georgiano – foto Ap/Shakh Aivazov

Al voto Sogno Georgiano ottiene un impensabile 54%, si allontana dalla Ue e stringe l’abbraccio con la Russia e le destre sovraniste. Se l’Europa si mostrerà condiscendente verso Ivanishvili al punto da tradire i principi per cui un’intera generazione si è mobilitata, la lotta politica lascerà il campo all’apatia

Pubblicato un giorno faEdizione del 29 ottobre 2024

Il voto popolare ha sconfitto il partito della guerra, fermando il tentativo di ucrainizzare la Georgia: ecco l’esito del voto secondo Sogno Georgiano, il partito di proprietà di Bidzina Ivanishvili, oligarca venuto dalla Russia, il cui patrimonio conta come il 20% del pil del paese.

Le strade di Tbilisi sono tranquille, nelle ore che precedono la grande manifestazione delle opposizioni, convocate dalla presidente della Repubblica, Salome Zourabichvili. I cani randagi sonnecchiano al sole davanti al parlamento, fra i varchi d’ingresso blindati e le onnipresenti pattuglie di polizia. La notte elettorale è stata dura: si vedevano attivisti farsi il segno della croce.

Dopo mesi di mobilitazione, dopo aver trovato uno schema unitario, si è fatta strada la consapevolezza che il potere non è contendibile. In poche ore si è passati da sondaggi che davano il partito di governo al 35%, a exit poll che lo collocavano al 42% – comunque senza maggioranza – fino al dato ufficiale del 54%: un risultato di cui non si ha memoria per un singolo partito in democrazia. La differenza rispetto alle attese è del 20%, molto di più di quanto si pensava sarebbe stato sottratto: l’accusa – sostanziata per ora solo da indizi di prova – è che la manipolazione sia avvenuta prima, fuori dai seggi, attraverso uno schema sofisticato che, in ultimo, è stato orchestrato da Mosca.

RESTIAMO ai fatti: non solo Sogno Georgiano ha aumentato i consensi, ma li ha raddoppiati nelle regioni, dove sono registrati il 70% degli elettori, con picchi vertiginosi fra le minoranze. Al governo è andata male nella capitale e malissimo nel voto estero (15%). Segno che la macchina clientelare azionata in periferia dai capi del partito, bramosi di distinguersi per lealtà ed efficienza, ha funzionato fin troppo bene, generando numeri che non possono che generare sospetti.

E così gli osservatori internazionali hanno fatto di tutto per non consegnare apertis verbis conclusioni sulla validità dell’elezione: circondati da una siepe di telecamere sembravano dire che le irregolarità, le pressioni, le sproporzioni che hanno osservato sono tante e tali che, insomma, non si può dire che l’elezione non sia stata rubata, ma al tempo stesso il furto non è stato così evidente e massiccio da dichiarare la vittoria invalida.

Decisamente più drastico il presidente ungherese Orbán, che si è immediatamente congratulato con Ivanishvili, mettendosi in viaggio per Tbilisi: tanto per far capire, se ce ne fosse bisogno, che l’Unione europea incontra e riproduce modelli autoritari sulle proprie frontiere e lungo le proprie direttrici di allargamento.

Guardando alla storia georgiana, cicli di potere sembrano destinati a un secondo tempo autoritario. Il controllo dei media consente a Ivanishvili di perpetuare la finzione secondo cui ha aperto al paese la prospettiva dell’inclusione nella Ue, al pari di Moldova e Ucraina, ignorando come questa prospettiva sia stata subito congelata da Bruxelles. Su ogni mezzo pubblico, in ogni angolo di Tbilisi campeggia la pubblicità di Sogno Georgiano con il blu e le stelle della Ue.

L’80% della popolazione è schierato per la prospettiva europea e vede negativamente l’influenza russa. I graffiti sui muri ravvivano la memoria della guerra-lampo del 2008, quando le truppe di Mosca arrivarono vicino a Tbilisi, assicurandosi il controllo delle due repubbliche separatiste, Abkhazia e Ossezia meridionale, che in questi giorni di elezioni hanno chiuso i confini.

Per le strade, nei caffè della capitale, si sente parlare russo ovunque: i russi arrivati dall’inizio della guerra in Ucraina hanno fatto balzare alle stelle il mercato immobiliare, dove si muovono con disinvolti investimenti. In questo contesto, l’obiettivo di Sogno Georgiano, convergente con quello di Mosca e delle forze sovraniste, è erodere la capacità della Ue di far valere condizioni ed esercitare influenza sulla politica georgiana.

CHI RITIENE che, davanti a un riconoscimento «pragmatico» della vittoria, Sogno Georgiano tornerà sui propri passi lungo «la via delle riforme» non ha altro fondamento che la facciata di disponibilità all’interlocuzione che il governo continua a coltivare. Nella sostanza, però, è dal 2022, ovvero quando ha sentito parlare de-oligarchizzazione, che il partito ha imboccato la direzione opposta, finendo allontanato dai socialdemocratici europei per approdare all’abbraccio dei leader della destra sovranista.

Il disegno di dominio di Ivanishvili non tollera la condivisione di potere, e il primo ministro dichiara che l’opposizione non ha alcuna funzione né utilità in parlamento. Sono molto labili le linee che distinguono il settore pubblico dal partito di governo, mentre il business privato sostiene generosamente il partito, temendo di incorrere in problemi e controlli. Cresciuta nelle turbolenze della transizione georgiana, la società civile organizzata è oggi l’unico ambito indipendente: proprio questo spiega l’adozione, in primavera, della legge sulla trasparenza dell’influenza straniera, la cosiddetta «legge russa» che ha scatenato le proteste di massa.

Per sua parte, l’opposizione regge su un accordo che prevedeva di evitare di farsi la guerra, trasformando invece l’elezione in un referendum contro il regime, per avviare un governo tecnico che in un anno avrebbe cancellato i provvedimenti illiberali e organizzato vere elezioni politiche. Il punto debole di questa strategia è stato forse sottovalutare l’oligarca, ipotizzando sì un modello autoritario, diciamo bielorusso, senza considerare varianti di consolidamento autoritario meno conclamate.

Le opposizioni hanno sopravvalutato la propria possibilità di sfidare la capillarità dell’esercizio del potere, ponendosi in rappresentanza dei cittadini, ma mostrando limitata capacità su questioni sociali ed economiche. Nel segmentato panorama politico georgiano, manca un partito di sinistra capace di raccordo con blocchi sociali, ai quali si è parlato principalmente dalla tv. L’unico partito di opposizione strutturato è quello dell’ex presidente Saakashvili, figura divisiva che langue in prigione, senza essere sfuggito alla legge non scritta del potere come vendetta sui predecessori, che da sempre sembra applicarsi in Georgia.

LA DECISIONE della presidenza di alzare la posta rappresentando lo scontro in termini geopolitici e accusando la Russia di interferenza ha messo in difficoltà quanti si avviavano a riconoscere, pur fra caveat ed auspici, la legittimità del vincitore, in uno scenario in cui si sarebbe data patente di democratico a un governo la cui opposizione filo-europea non accetta il proprio mandato parlamentare.

Alla lunga la Georgia è un paese economicamente fragile, che non dispone di risorse strategiche di cui gli europei hanno forte bisogno. Comparandola con il vicino Azerbaijan, paese lontano da una candidatura alla Ue, la Georgia è più vulnerabile rispetto a interruzioni dei rapporti economici e all’isolamento. Un graffito molto ottimista dipinto su un muro sostiene che Tbilisi oggi è la capitale dell’Europa, mentre sembra avviarsi alla marginalità.

Se verso l’uomo che ha catturato l’intero paese l’Europa si mostrerà condiscendente al punto da tradire i principi di democrazia per i quali un’intera giovane generazione si è mobilitata, la lotta politica lascerà il campo all’apatia e alla fuga verso l’estero. Gestire la crisi georgiana come concessione geopolitica, come fosse l’Azerbaijan, significa per l’Europa trascinare nel buio anche le speranze dell’Armenia, e spararsi sui piedi.

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