Georgia, opposizione in piazza: «Voto rubato, accetteremo solo un accordo per tornare alle urne»
Elezioni contestate Inno nazionale e Inno alla gioia nella protesta di ieri sera contro la vittoria elettorale di Sogno Georgiano. La richiesta di «democrazia» fa da collante per le decine di migliaia di persone scese in piazza nel centro della capitale
Elezioni contestate Inno nazionale e Inno alla gioia nella protesta di ieri sera contro la vittoria elettorale di Sogno Georgiano. La richiesta di «democrazia» fa da collante per le decine di migliaia di persone scese in piazza nel centro della capitale
In piazza sono convinti tutti, dalla presidente all’ultimo dei passanti su viale Rustaveli. «Hanno rubato le elezioni»: è un coro che riverbera e si ripete lungo le scalinate del parlamento e per le strade, durante la protesta di contestazione della vittoria di Sogno Georgiano che si è svolta nella serata di ieri nel centro di Tbilisi.
L’OPPOSIZIONE chiede di votare di nuovo, sotto una gestione internazionale e non più della commissione elettorale del paese. «Non ci sarà alcun negoziato con il governo», tuona Giorgi Vashadze di Unità-Movimento Nazionale. «Accetteremo solo un accordo per tornare alle urne. Sarà una lotta che potrà richiedere tempo ma vi assicuro che non molleremo. Alla fine, vincerà la Georgia!».
L’orgoglio di una nazione che chiede «giustizia» e «democrazia» sembra in effetti essere il collante, anche visivo, delle decine di migliaia di persone che hanno riempito il centro della capitale. Innumerevoli sono le bandiere con la croce di San Giorgio, spesso ma non sempre associate a quelle dell’Unione Europea.
Così, ad aprire e chiudere la manifestazione l’inno del paese e infine l’Inno alla gioia: un binomio certificato dalla presenza in piazza di diversi internazionali nonché dalle parole di Salomé Zourabichvili. «Ho discusso con molti leader europei e sono con noi», annuncia la presidente di origini francesi alla folla. «Ci saranno nuove indagini sul voto, e usciranno nuove prove della manipolazioni. Io resterò al vostro fianco fino alla fine del nostro percorso europeo». Non è dato sapere, però, come abbia risuonato questa arringa all’orecchio del primo ministro ungherese Viktor Orbán, in attesa di incontrare domani il suo omologo georgiano e pare alloggiato al poco distante Hotel Marriott.
SOTTO IL PALCO, praticamente nessun simbolo partitico per una protesta che – dato forse anche l’alto numero di manifestazioni nel corso dell’ultimo anno – assume quasi un carattere “rituale” e organizzato. Non c’è rabbia, ma fermezza e determinazione: partecipano persone giovani e più anziane, capannelli di studenti si alternano a famiglie e singoli militanti. A tratti, l’atmosfera è conviviale e festosa.
«A prescindere da quello che si pensi di Sogno Georgiano, il punto è che non si è trattato di un voto regolare», dice con estrema calma Ana, universitaria. «Siamo qui per questo e siamo fiduciosi, fino a ora, nel lavoro delle opposizioni. A ogni modo, come stiamo dimostrando negli ultimi mesi, continueremo a scendere in piazza fino alla vittoria». Ekaterina, impiegata presso una ong, vuole invece essere più specifica: «Il problema non è neanche il partito di governo, il problema è che l’intero paese è in mano a un uomo solo», spiega con riferimento al fondatore di Sogno Georgiano ed ex-primo ministro nonché potente imprenditore Bizdina Ivanishivili. «Se chiediamo di entrare in Europa, è perché vogliamo giustizia e trasparenza democratica qui da noi. È molto semplice».
MA LA QUESTIONE della regolarità delle elezioni non esaurisce ovviamente le questioni politiche tout court. Fra le persone che si uniscono alla protesta, c’è anche chi coltiva perplessità rispetto all’operato delle forze di opposizione: «La propaganda di governo nelle zone fuori dalla capitale e più rurali funziona alla perfezione», argomenta un giovane architetto che ha vissuto diversi anni all’estero e che sottolinea come in effetti le manifestazioni di piazza siano un fenomeno che coinvolge soprattutto la popolazione urbana. «Penso che gli altri partiti potevano impegnarsi di più in questo senso, a volte non si impegnano a sufficienza per dialogare con quei pezzi di società che non hanno motivi per scegliere fra l’Europa o la Russia». Per altri ancora, defilati rispetto alla piazza e anzi in disaccordo, allontanarsi dal vicino russo rischia di essere come «spararsi sul piede». Non è una presa di posizione ideologica: se l’Occidente non ci dà reali garanzie, economiche e di sicurezza, perché continuare su questa strada? – è l’interrogativo strisciante.
La strisciante crisi istituzionale georgiana, intanto, è definitivamente esplicita. Ma nessuno, fra Tbilisi, Bruxelles o Mosca, sembra avere le idee chiare su come potrà evolversi.
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