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In fuga verso Kherson, sotto i colpi dell’artiglieria russa

In fuga verso Kherson, sotto i colpi dell’artiglieria russaEvacuazione da Kherson – Alfredo Bosco

Il limite ignoto L'evacuazione dell'Idroscalo, alla periferia della città liberata

Pubblicato quasi 2 anni faEdizione del 14 dicembre 2022

Il fiume Dnipro si ingrossa per le piogge costanti ma continua a scorrere placido tra le postazioni russe e quelle ucraine. Sulla sponda occidentale ogni giorno suonano gli allarmi e ogni giorno una nuova casa è in fiamme. Il lavoro dei soccorritori è estremamente difficile in queste aree poiché non ci sono difese. La visuale è nitida, l’orizzonte piatto e inoltre, come se non bastasse, il fumo funziona da segnalatore per chi prende la mira. Tutti sanno che se c’è un incendio in meno di mezz’ora arriveranno i pompieri, così come le ambulanze e i mezzi per le evacuazioni, laddove necessarie. Guidare nel dedalo di viottole sterrate, tra le file di case basse, spesso di legno, che costeggiano il territorio in mano agli ucraini, è un’esperienza intensa.

INNANZITUTTO bisogna considerare che non c’è un tratto di strada piatto: la pioggia costante, i mezzi pesanti e le fosse create dalle bombe rendono impossibile guidare in linea retta per più di qualche metro. In testa ci sono le ambulanze dei soccorritori che non vanno mai perse di vista mentre corrono al massimo della velocità possibile e sembra che a ogni curva stiano quasi per ribaltarsi. I quartieri e i villaggi dove queste si avventurano sono lontani dal centro, non c’è connessione internet e neanche linea telefonica, perderle vorrebbe dire ritrovarsi nel mezzo di un luogo sconosciuto e dover iniziare a correre da una strada all’altra alla cieca. Spesso neanche gli autisti riescono a trovare la casa designata e allora inchiodano all’improvviso per chiedere informazioni. Ieri, dopo aver passato il ponte che porta all’idroscalo di Kherson, in una pausa del genere i russi hanno ricominciato a bombardare.

Nikita, il ragazzo in uniforme militare piena di strap che però non fa parte di nessun corpo, è stato sorpreso quanto noi, solo che lui era all’aperto e ha abbassato istintivamente la testa. Karen, l’autista, gli ha urlato che si sbrigasse ma il colpo non era isolato e Nikita è scattato verso il muretto della casa adiacente per cercare riparo. Tutt’intorno un leggero fumo bianco si mischiava a una coltre più densa e nera, nonostante la pioggia incessante. Quando la salva è cessata Nikita ci ha guardato con gli occhi tondi spalancati ha simulato un gran sorriso ed è risalito sull’ambulanza, dal lato sinistro perché il mezzo è stato donato dalla Gran Bretagna e ha il volante sul lato opposto. A ogni strada sbagliata che abbiamo imboccato i colpi sembravano più vicini, l’idroscalo è addirittura più in basso rispetto alla riva opposta e un mortaio non si sa mai dove cade. Nonostante il freddo pungente si guida con i finestrini aperti per cercare di captare il minimo rumore e soprattutto i sibili nell’aria, che in questi casi indicano la vicinanza della traiettoria al luogo dove ti trovi.

QUANDO FINALMENTE arriviamo di fronte alla casa che cercavamo una nuova salva ci accoglie. «Che paura, che paura!» dice Ksenia, una donna di circa 50 anni, appena ci vede. Piange di paura e ride riconoscente allo stesso tempo perché i soccorritori sono arrivati. «È caduto così vicino» racconta concitata mentre afferra più cose possibile tra le borse che ha preparato. La aiutiamo tutti a portare le grosse buste di plastica rigida e le valigie, di corsa. «Proprio lì, credevo che mi scoppiasse il cuore» continua tra un andirivieni e l’altro verso l’ambulanza. Dopo aver caricato tutto esce Taisiya, la madre. Lei non può correre, cammina con il deambulatore e per percorrere il vialetto che attraversa l’orto impiega almeno cinque minuti. Con Karen ci guardiamo senza dire nulla, ma credo che entrambi stessimo pensando a sollevarla e trasportarla a braccio. Operazione che si rivela per niente facile quando l’anziana deve salire i gradini dell’ambulanza. Anche qui impiega tantissimo e nel frattempo Taisya si copre la bocca per evitare di urlare dopo ogni esplosione.

PRENDIAMO diverse deviazioni, avvicinandoci ancora di più al fiume, senza capire perché ma seguendo sempre l’ambulanza. Nel cortile di un vecchio comprensorio sovietico ci fermiamo e un uomo esce di corsa da un portoncino di ferro. Taisya scende per consegnargli le chiavi di casa e si salutano affettuosamente.
Duranteil tragitto di ritorno, prima del ponte che è già stato leggermente danneggiato Karen si ferma per recuperare una donna che stava rientrando a Kherson a piedi. Questa scelta è piuttosto inusuale durante un’evacuazione, le organizzazioni internazionali in genere non permettono nessuna eccezione al programma prestabilito. Ma Karen è al volante, Nikita ha vent’anni e la signora viene tirata dentro senza troppi convenevoli.

RIENTRATI a Kherson ci fermiamo nella piazza centrale per salutarli. Proseguiranno verso Mykolayiv e domani al massimo saranno a Odessa, in un centro di accoglienza dove non si sa se al momento la linea elettrica funziona. Comunque, meglio al buio che sotto le bombe, a questo siamo arrivati lungo il fronte sud.

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