Niente va come dovrebbe, nella Repubblica democratica del Congo (Rdc). Il movimento ribelle M23 che come da accordi avrebbe dovuto ritirarsi entro il 15 gennaio, lasciando le posizioni conquistate, non sembra voler deporre le armi.
Giovedì la milizia ribelle ha iniziato una nuova offensiva sulla città di Kitshanga, dalla quale sono fuggite più di 400 persone, che si sono aggiunte ai 450 mila sfollati interni dalla ripresa delle ostilità nel Nord Kivu. Ad oggi la città è sotto il controllo delle milizie ribelli che stanno continuando la loro avanzata verso la regione di Walikale, una delle sei province della regione del Nord Kivu, ricca di miniere di oro, stagno e cobalto.

L’ESERCITO DELLA RDC ha confermato il ritiro da Kitshanga: ritiro «tattico» ha affermato il tenente colonnello Guillaume Ndjike, portavoce del governatore militare del Nord Kivu «per attirare i ribelli ed evitare il peggio alla nostra gente» .

La nuova offensiva, dove secondo fonti si sicurezza sono morte almeno 14 persone, è stata condannata dalla missione di pace delle Nazioni unite (Monusco) presente nelle regioni orientali della Rdc: «L’M23 deve cessare ogni ostilità e ritirarsi dalle aree occupate, in accordo con quanto deciso al mini-summit di Luanda» ha dichiarato la Monusco su Twitter. A Luanda però non era presente nessuna rappresentanza della milizia ribelle. L’M23 in una nota ufficiale ha dichiarato che «è stato obbligatorio intervenire per proteggere a popolazione Tutsi a Kitshanga e nelle aree limitrofe».

Come se non bastasse, mercoledì, qualche centinaio di chilometri più a nord , nella cittadina di Beni, è esplosa una bomba al mercato centrale della città. 17 feriti di cui alcuni molto gravi. Ancora non ci sono state rivendicazioni, anche se la posizione molto vicina al confine ugandese e le modalità dell’attacco fanno pensare alle Forze democratice alleate (Adf), milizia ugandese legata allo Stato islamico, che già lunedì ha rivendicato l’attacco a un villaggio nel Nord Kivu dove sono morte 23 persone.

NELLA CAPITALE KINSHASA invece il clero cattolico, da sempre contrappeso allo stato della Rdc, si prepara alla visita di Bergoglio che inizia martedì prossimo. La principale preoccupazione che si vorrebbe riportare al Papa non riguarda tanto gli infiniti scontri nell’est del paese, quanto lo svolgimento corretto delle elezioni previste per il prossimo 20 dicembre.
Dall’indipendenza della Repubblica democratica del Congo dal Belgio nel 1960, il cattolicesimo ha mantenuto un «predominio morale», come dice il politologo Christian Moleka. In anni più recenti la Chiesa ha messo in campo osservatori elettorali e ha usato la sua influenza per spingere i funzionari eletti a rispettare i limiti di mandato costituzionali.
Il vescovo Donatien Nshole, segretario generale della Conferenza episcopale locale, ha dichiarato che spera in un intervento pubblico del papa sulla necessità di elezioni credibili. Di questa necessità è consapevole anche la società civile congolese, ma non tutti però sono sicuri che questa presa di posizione da parte di Bergoglio avverrà.