In Colombia una rivolta ancestrale
La protesta Ambiente, diritti umani, integrità culturale, pace. In un clima di violenza di stato crescente,una «minga indigena» dal 12 marzo paralizza il Sud Ovest per chiedere il rispetto degli accordi disattesi dal governo. Che affossando anche la pace con la Farc fa ripiombare il Paese negli anni più bui
La protesta Ambiente, diritti umani, integrità culturale, pace. In un clima di violenza di stato crescente,una «minga indigena» dal 12 marzo paralizza il Sud Ovest per chiedere il rispetto degli accordi disattesi dal governo. Che affossando anche la pace con la Farc fa ripiombare il Paese negli anni più bui
In Colombia il governo del presidente Ivan Duque mostra i muscoli e risponde con la forza alle istanze di una straordinaria protesta indigena – la «minga per la difesa della vita, del territorio, della democrazia, della pace» – che da più di due settimane sta bloccando il Sud Ovest del Paese.
Finora il saldo è di nove morti per lo scoppio di un ordigno esplosivo, lo scorso 21 marzo, durante un raduno della «Guardia Indigena», sulle cui cause si sta ancora indagando. Ci sono stati inoltre decine di feriti in conseguenza degli scontri con l’Esmad, l’unità speciale antisommossa della polizia, e con l’esercito. Le regioni del Cauca e del Huila sono militarizzate, sorvolate da elicotteri militari e droni e pattugliate via terra.
UNA TENSIONE in continua escalation che nella notte fra martedì e mercoledì ha registrato altri cinque attentati fra cui un’autobomba a danno di posti controllo della polizia lungo la via Panamericana, mentre si sommano le denunce dei manifestanti, che mostrano con video e foto l’utilizzo di armi improprie, fra cui proiettili di stoffa pieni di pallini di ferro.
[do action=”quote” autore=”Armando Wouriyu, leader wayuu “]Lo Stato colombiano non riconosce la nostra relazione con la terra, che è contraria alla politica economica imperante; non difende i leader sociali, che ogni giorno vengono ammazzati e minacciati. Per questo siamo in minga[/do]
La minga indigena è una modalità di unione, collettivizzazione, incontro anche spirituale, tipica delle popolazioni andine. In Colombia si è declinata anche attraverso la creazione più recente di una «Guardia Indigena», una sorta di polizia senza armi riconosciuta dallo Stato, nata per difendere i territori ancestrali nel mezzo del conflitto. «Da tempo camminiamo la parola per costruire una vita degna per i nostri popoli – spiega Arelis Cortés, consigliera del Pueblo Embera Chami – ma questo governo non vuole riconoscere i nostri diritti». La minga che dallo scorso 12 marzo è stata promossa principalmente dalle popolazioni Embera, Nasa e Waunan, nasce per chiedere il rispetto degli accordi fra stato e popolazioni indigene – si parla di 138 contratti che ad oggi non sono stati applicati – e che riguardano la difesa dell’ambiente, della integrità culturale dei popoli nativi, nonché l’applicazione degli Accordi di Pace firmati dal governo di Juan Manuel Santos con la guerriglia Farc nel 2016.
È UN PANORAMA che l’attuale governo sta mettendo fortemente in discussione , prima con l’annuncio dato nelle scorse settimane dello stravolgimento della Justicia Especial Para la Paz (Jep), il meccanismo di giustizia di transizione previsto dai negoziati internazionali, atta al riconoscimento e alla sanzione dei crimini di guerra e alla ricostruzione della memoria storica di un Paese che in mezzo secolo di conflitto conta 280 mila morti e milioni di vittime della violenza; poi con l’avvallo del fracking per la ricerca del petrolio e lo sdoganamento di un aggressivo «Piano di sviluppo nazionale», che prevede la concessione di ampie porzioni di territorio alle multinazionali.
UN ATTEGGIAMENTO in linea con la politica di ultradestra del proprio partito – il Centro democratico – e del suo referente, l’ex presidente Alvaro Uribe, da sempre contro gli accordi di pace, ma che sta facendo ripiombare la Colombia negli anni più bui della sua storia: «Sembra di essere tornati al ’92 e alla Guerra Sucia (la guerra sporca) – ci racconta la difensora dei diritti umani Johana Lopez, dell’organizzazione colombiana Justicia y Paz, appena tornata da una missione umanitaria nel Nord Est -. Le nuove forze paramilitari stanno minacciando intere comunità, anche nelle cosiddette Zone Umanitarie, dove si stava cercando di ricostruire spazi pacificati e senza violenza». La chiusura unilaterale degli accordi di pace da parte del governo che erano in corso con l’esercito guerrigliero Eln hanno di fatto riattivato violenti confronti armati soprattutto nella regione del Chocò, nel Pacifico colombiano.
SEMBRA UN BOLLETTINO senza speranza, quello di queste ultime settimane, dove pare non esserci spazio per il dialogo: nei giorni scorsi il ministro della difesa Guillermo Botero ha parlato esplicitamente di «infiltrazioni della dissidenza della guerriglia nella protesta indigena», mentre la stampa mainstream definisce gli indigeni in lotta «terroristi» .
Al ministro Boero ha risposto Diana Sanchez, coordinatrice del Programa Somos Defensores e della piattaforma per i diritti umani fra Colombia, Europa e Usa: «Dire che in queste mingas esistano infiltrati, è disconoscere la situazione del Paese: la stigmatizzazione delle proteste sociali da parte dello Stato è uno strumento che ben conosciamo».
INTANTO LA MINGA VA AVANTI e più di 15 mila indigeni marciano e bloccano le maggiori arterie stradali del Sud Ovest: «Siamo 104 popoli ancestrali indigeni in Colombia – dice il leader wayuu Armando Wouriyu – lo Stato colombiano non riconosce la nostra relazione con la terra, che è contraria alla politica economica imperante; non difende i leader sociali, che ogni giorno vengono ammazzati e minacciati. Per questo siamo in minga: vogliamo la pace, e chiediamo al Paese di stare dalla nostra parte, perché noi siamo per la vita».
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento