In Colombia tutto bene: Angel ha visto la luce
Intervista Hip hop come riscatto politico nei quartieri poveri di Bogotà. Storia dei Todo Copas, dei "nessuno" a cui parlano e di un "rapero" militante che oggi lavora con il governo Petro: «Merita una chance»
Intervista Hip hop come riscatto politico nei quartieri poveri di Bogotà. Storia dei Todo Copas, dei "nessuno" a cui parlano e di un "rapero" militante che oggi lavora con il governo Petro: «Merita una chance»
Sulla séptima fino alla Plaza Bolivar è tutto un susseguirsi di venditori ambulanti e gente che balla per pochi soldi. Ognuno ha la sua musica, che se non è cumbia è salsa, così che l’arteria principale del centro storico di Bogotà sembra un carnevale quotidiano. I callejeros sono tornati in strada dopo il lungo periodo della pandemia: la povertà nella capitale colombiana era dilagata nei cinque mesi di confinamento e da molte finestre si vedevano i panuelos rojos, gente che sventolava fazzoletti rossi per chiedere cibo. Le strade erano diventate silenziose. Quindi camminare oggi per la septima è decisamente allegro.
POCO PRIMA DELLA PLAZA, su uno dei palazzoni decadenti che si fanno spazio fra le case in stile coloniale, c’è un murale che dice “Todo Copas”, in slang «va tutto bene». Todo Copas è un gruppo rap molto noto qui a Bogotà e in tutta la Colombia: una delle voci del dissenso e della resistenza che da anni accompagna los de abajo, quelli che stanno in basso. «Ci conosciamo tutti, siamo figli del territorio / E anche chi viene da fuori qui è il benvenuto». (Bogotà Mi Barrio, 2017).
I Todo Copas erano sul palco montato in una affollata Plaza Bolivar per promuovere il plebiscito a favore dell’accordo di pace fra il gruppo guerrigliero delle Farc–Ep e il governo: «Que esta es la guerra y es la de la paz», cantavano. E c’erano anche due anni fa, durante lo sciopero generale che aveva bloccato il Paese: negli scontri erano morte oltre 80 persone e i Todo Copas appoggiavano la Primera Linea, un movimento di quasi adolescenti che stava in testa ai cortei per contrapporsi alla violenza della polizia antisommossa, la famigerata Esmad: «Quello che succede è violenza di Stato. Noi siamo resistenza», gridava Angel Salazar, frontman del gruppo: «Sovversivi del sistema / e stanchi dello stesso / che ci riempie di bugie (…) / prendendosi gioco del popolo e del suo potere dominante» (Ni perdon, ni olvido , 2021).
LA COLOMBIA VIVE un’altra svolta epocale, quella del primo governo di sinistra della sua storia dopo la vittoria elettorale nel giugno scorso di Gustavo Petro insieme a Francia Marquez, attivista afrodiscendente e oggi vicepresidenta. I Todo Copas ancora una volta avevano deciso di esserci, pubblicando un pezzo a ridosso del voto: «La nostra causa è la verità / la pace e la memoria / è il momento di cambiare / il corso di questa storia». Nel video di Un richiamo alla sensatezza – così si intitola il pezzo , diventato subito virale – si vede Angel Salazar rappare davanti a una luce sfocata: «È il momento di prendere posizione per la dignità, per le vittime». La lirica rap si trasforma in discorso politico, un inno alla coscienza sociale. E termina con la voce registrata di Francia Marquez che dice: «Noi oggi occupiamo lo Stato perché vogliamo vivere in pace e con allegria».
«Non crediamo ciecamente in Gustavo Petro – ci racconta Angel seduto nella sua casa studio del quartiere La Candelaria – Ma per quello che abbiamo vissuto fino ad oggi, dobbiamo dare una chance al cambiamento e a questo governo, che ha ripreso gli accordi di pace e il dialogo con l’Eln (l’Esercito di Liberazione Nazionale, altro gruppo guerrigliero della Colombia che a oggi non si è ancora accordato per la fine del conflitto, ndr). Sappiamo che quattro anni non saranno abbastanza per cambiare un Paese così violento e corrotto. Ma noi come artisti, come militanti, non abbasseremo la guardia».
La svolta è frutto di decine di anni di lotte sociali e comunitarie, di resistenza e capacità di auto organizzazione. E la prima spallata all’uribismo – il ventennio di strapotere del politico e imprenditore di destra Alvaro Uribe – infonde un senso di speranza in un Paese che è stato in guerra per mezzo secolo, e che di fatto non ne è ancora uscito.
ANGEL QUELLE LOTTE fatte di rabbia e sopravvivenza, le conosce bene: «Sono nato e cresciuto nel barrio el Cartucho, il quartiere della droga. Mia madre era riuscita a tenermi lontana dai brutti giri. Poi è morta e a dodici anni sono finito a vivere in strada». El Cartucho era un ammasso di baracche abitato dagli sfollati del conflitto (qualche anno dopo è stato sgombrato e oggi al suo posto c’è un asettico Parco del terzo Millennio). Angel viene portato in una specie di orfanotrofio, da cui scappa quasi subito «perchè era l’emblema della repressione». Dopo un paio di anni passati per strada, lo trova Javier de Niccolò, salesiano di origine barese: Angel spacciava e si faceva di basuco, una mistura a basso costo a base di cocaina. «Non mi pareva di vedere molta luce», dice. De Niccolò lo manda a lavorare nella sua comunità di recupero, una fattoria spartana al confine col Venezuela, «ed era dura perché a volte non arrivavano le provviste – continua Angel – ma lui non ci ha mai imposto nulla. Sono tornato a scuola e il rap è diventato la mia strada».
Il rap in Colombia arriva a metà degli anni 80 e si mescola alle storie di un Paese in pieno conflitto, assorbe le voci delle strade e le trasforma in istanze politiche. Il rap colombiano si allontana dall’immaginario violento e misogino e si mette a lato della multiforme resistenza colombiana: contro la guerra sucia, i morti ammazzati, le migliaia di desaparecidos, la depredazione delle risorse.
COME LA SUA GENTE, Angel non getta la spugna. Fonda il gruppo hip hop Todo Copas insieme a Smith che è anche un noto graffittero. Diventa la sua catarsi e la sua lotta contro le marginalizzazioni: «Nelle canzoni raccontiamo verità. In molti casi il rap è l’unica compagnia per tanti giovani che vivono in strada. Dove non c’è famiglia, non c’è Stato, solo l’oblio; noi parliamo a queste persone che sono i “nessuno”, il rap diventa rifugio e protesta. Quello che non vedete nei telegiornali, noi lo mettiamo in versi».
In un paese dove quasi metà della popolazione è fra povertà e miseria, dove la lotta per la dignità è una linea sottile fra vita, morte, criminalità, Angel Salazar è un simbolo: «Sono un rapero e faccio quello che amo – continua Angel col suo tono calmo, mentre la sua gatta Tequila gli fa la corte per qualche carezza – ma sono anche coordinatore nella Direzione per la convivenza sociale della Segreteria del governo. Attraverso il dialogo e l’arte cerchiamo di prevenire i conflitti e intercettare le situazioni di fragilità nei quartieri. Sono sempre stato impegnato nel sociale e ho trasformato la mia esperienza in arte hip hop». E ci mostra qualche foto mentre fa rap con i niños de la calle, ragazzi abbandonati nelle strade come era stato lui.
I TODOS COPAS IN QUESTI GIORNI festeggiano i sedici anni di attività: «Siamo uno dei gruppi più longevi». E nel 2020 Angel è stato insignito della Croce d’Oro – ordine civile al merito Javier de Nicolò. Me la mostra come la cosa più preziosa.
L’anno scorso si è anche laureato: «Quando ero in strada neanche avevo finito le elementari». E il nuovo governo sta facendo importanti aperture per alimentare l’arte urbana come forma di coesione sociale. «Definitivamente abbiamo cambiato le cose / Nei telegiornali parlano sempre di disperazione / ma è una strategia di manipolazione (La vuelta cambiò, 2019). «Non pensavano – conclude Angel – che il popolo si sarebbe svegliato. Si sbagliavano».
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento