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«In Cisgiordania la destra israeliana ha creato un’infrastruttura paramilitare»

Le macerie di QabatiyaLe macerie di Qabatiya – Epa /Alaa Badarneh

Territori occupati palestinesi Intervista all'attivista e analista palestinese Jamal Juma: «Il ministro Smotrich sta organizzando i coloni in squadre armate: senza annunciarla, l’annessione è già realtà. I palestinesi vivono nel terrore, la rabbia esploderà»

Pubblicato 6 giorni faEdizione del 21 settembre 2024

«Stiamo parlando di un brutale sistema coloniale di apartheid. È la realtà». Jamal Juma ha una lunga storia di attivismo politico alle spalle. Si è formato con la Prima Intifada, ha vissuto la Seconda, ha animato e anima campagne come Stop the Anti-Apartheid Wall e la Land Defense Coalition. Ma una situazione così, dice, non si era mai vista.

Incursioni militari, violenze dei coloni: l’obiettivo è sempre lo stesso, la Cisgiordania?

L’annessione della Cisgiordania sta procedendo con la confisca di centinaia di ettari, la crescita delle colonie e la legalizzazione degli insediamenti che fanno il lavoro sporco del governo cacciando le comunità beduine e pastorali. Ma più di tutto il ministro Smotrich sta liquidando l’amministrazione civile israeliana (l’ente che gestisce, per Tel Aviv, i Territori occupati palestinesi, ndr): ora il vice responsabile è un colono a cui ha affidato molti compiti in capo all’esercito. Smotrich usa le risorse dello stato per organizzare i coloni in squadre, armarli, sostenerli con i droni. Sta costruendo un’infrastruttura paramilitare in Cisgiordania. Senza annunciarla, l’annessione è realtà: isolare le comunità palestinesi, bloccare le vie di comunicazioni, costruire nuove infrastrutture israeliane significa cementare l’apartheid. Così Israele sarà in grado di annettere il 60% della Cisgiordania senza problemi, con i palestinesi chiusi in dei ghetti.

Qual è la quotidianità oggi in Cisgiordania?

Dal 7 ottobre l’esercito israeliano ha posto la Cisgiordania sotto stato di emergenza: ha isolato le città e i villaggi e posto sotto assedio le comunità beduine e la Valle del Giordano. I coloni sono organizzati in squadre e attaccano le comunità beduine, sono già trenta quelle costrette a lasciare le loro terre. È, di fatto, pulizia etnica. A questo si aggiungono gli attacchi a contadini e pastori che non possono raggiungere le terre: il 70% non ha potuto raccogliere le olive nell’ultima stagione. La prossima sarà ancora più sanguinosa. I coloni bruciano case, campi, stalle. Attaccano scuole e moschee. Lungo le strade aprono il fuoco sulle auto palestinesi, ai checkpoint i soldati ci umiliano. La gente ha paura di spostarsi da una città all’altra. Il tasso di povertà è salito dal 38% al 60%. 200mila persone hanno perso il lavoro, significa 200mila famiglie che non hanno più reddito. Ai dipendenti pubblici arriva metà stipendio, a volte un quarto: Israele non trasferisce le tasse palestinesi all’Autorità nazionale. Israele controlla anche l’acqua: ora viene inviata una volta o due al mese. E poi 10mila arrestati in un anno, oltre 700 uccisi. Questa è la quotidianità, è insopportabile. Ci sono così tanta rabbia, frustrazione, solitudine. E ira verso la comunità internazionale che permette un genocidio a Gaza e il terrorismo dei coloni e dell’esercito in Cisgiordania.

Il video dei soldati che gettano dal tetto tre palestinesi ha generato grande sdegno. Come colpisce l’immaginario palestinese?

È scioccante vedere quanto brutali e fasciste siano le azioni dei coloni e dell’esercito, crimini commessi davanti agli occhi del mondo. I tre giovani lanciati dal tetto a Qabatiya…i palestinesi si sentono addosso un livello di odio inimmaginabile. Non ci trattano come esseri umani. Lo vedi ovunque, nelle incursioni, ai checkpoint. Pochi giorni fa i coloni hanno attaccato una scuola, hanno picchiato gli studenti e gli insegnanti con i bastoni, gli hanno sputato addosso, davanti ai soldati che aspettavano la reazione dei palestinesi per arrestarli. E alla fine hanno arrestato il preside e gli insegnanti.

Eppure non assistiamo a manifestazioni di massa, ma alla riemersione della lotta armata nei campi profughi. Paura, disperazione, assenza di alternative politiche?

Se vai a una manifestazione, ti sparano addosso. La paura è tantissima, si può essere facilmente feriti, uccisi o arrestati e le prigioni sono luogo di abusi terribili. Questo livello di disperazione sta spingendo molti giovani verso la lotta armata. Se vengono ammazzati, il giorno dopo c’è qualcun altro che aderisce. Sono disposti a tutto. Sono certo che la Cisgiordania esploderà ancora, per la frustrazione, le continue umiliazioni e l’assenza della comunità internazionale che assiste ogni giorno a uccisioni, case distrutte, pulizia etnica e non interviene. La rabbia esploderà e sarà difficile arginarla.

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