In Cile è macelleria sociale, Piñera peggio del virus
Legge trappola La gestione della pandemia da parte del governo ha prodotto finora licenziamenti e tagli dei salari. Ma il Paese è pronto a ripartire, come la protesta
Legge trappola La gestione della pandemia da parte del governo ha prodotto finora licenziamenti e tagli dei salari. Ma il Paese è pronto a ripartire, come la protesta
Più che il Covid-19, in Cile è il governo Piñera a sferrare i colpi peggiori alle classi più povere. Grazie alla sua gestione della pandemia, solo nel mese di marzo sono stati licenziati 300mila lavoratori, a cui se ne aggiungono altri 800mila costretti, per non perdere il posto, ad accettare tagli ai salari.
È L’EFFETTO del provvedimento eufemisticamente chiamato «Legge per la protezione dell’impiego», che permette la sospensione del pagamento degli stipendi o una loro riduzione a quei lavoratori costretti a restare a casa per la quarantena. I quali, per tutta la durata del periodo di interruzione del contratto, potranno accedere solamente ai fondi dell’assicurazione di disoccupazione, finanziata almeno in parte da loro stessi.
Si tratta, precisa la legge, di decisioni «concordate» dai datori di lavoro con i dipendenti stessi, come se questi avessero realmente possibilità di scelta.
E va ancora peggio a tutti gli altri, all’esercito dei lavoratori precari e informali, per i quali è previsto appena un unico bonus (Bono Covid-19) di 58 dollari. Neppure sul piano della tutela della salute Piñera è disposto a offrire alcuna garanzia, annunciando al contrario il ritorno graduale al lavoro dei dipendenti pubblici in piena crescita del numero di contagi (più di 11mila i casi accertati, con meno di 130mila tamponi realizzati in totale), oltre alla riapertura delle scuole a partire dal 27 aprile.
E quando l’Anef, il sindacato dei dipendenti pubblici, ha provato a ribellarsi, realizzando un atto di protesta di fronte al palazzo della Moneda nel rispetto dei protocolli di distanziamento sociale, il governo ha risposto con l’arresto di sette dirigenti dell’organizzazione (poi rilasciati).
CHE IN CILE, PAESE TRA I PIÙ neoliberisti al mondo, il discrimine tra i sommersi e i salvati della pandemia sia molto netto non può del resto sorprendere nessuno. E se gli imprenditori si trovano a risparmiare denaro e a contare su una manodopera ancor più schiavizzata, anche il governo ha i suoi motivi per rallegrarsi, a cominciare dalla paralisi obbligata della rivolta sociale e dal rinvio del referendum sulla nuova Costituzione (inizialmente fissato il 26 aprile, appena un giorno prima, paradossalmente, della ripresa delle lezioni).
Non per niente, per celebrare l’insperato regalo del Covid-19, Piñera ha avuto persino l’ardire di recarsi in una deserta Plaza Italia, la Plaza Dignidad teatro delle proteste, e di farsi fotografare sorridente ai piedi del monumento al generale Baquedano, quello che i manifestanti avevano ricoperto di insulti nei suoi confronti. Un atto di gratuita provocazione di cui il presidente è stato poi costretto a scusarsi.
MA LA PLAZA DIGNIDAD, appena rimessa a nuovo, non resterà deserta ancora a lungo. «Se torna la normalità, torneremo in piazza», promettono i manifestanti. Che, a più di sei mesi dall’inizio della rivolta, avvertono: «Avevamo ragione a ottobre e abbiamo ancora più ragione oggi. Al silenzio non torneremo più, nemmeno alla normalità neoliberista».
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