ExtraTerrestre

In Chiapas il caffè è rivoluzione

Storie Dalle comunità zapatiste all’Italia, i chicchi prodotti dagli indigeni messicani sono il legame più forte tra l’Ezln e il nostro paese. E ora sono pronti a sbarcare pure i biscotti rivoluzionari

Pubblicato quasi 6 anni faEdizione del 27 dicembre 2018

E’ passato un quarto di secolo dal primo gennaio del 1994, quando nel Sud-est messicano un esercito indigeno attaccò il governo e il neoliberismo: quel giorno entrava in vigore l’accordo di libero scambio tra Messico, Stati Uniti e Canada, e dal Chiapas i discendenti dei Maya gridarono il loro «Ya Basta!», scegliendo l’insurrezione armata per dare visibilità alle loro richieste. Venticinque anni dopo, mentre l’Esercito zapatista di liberazione nazionale (Ezln) festeggia l’anniversario con balli, canti e tornei di pallacanestro nei municipi autonomi ribelli, migliaia di italiani celebreranno quel grido sorseggiando il primo caffè del mattino. Perché uno dei legami più duraturi tra il Chiapas zapatista e il nostro Paese è quello segnato dall’aroma del caffè, e segue il viaggio dei «chicchi» verdi, che dopo esser stati essiccati negli spiazzi davanti alla case in legno delle comunità zapatiste finiscono in sacchi di juta dentro container con destinazione il porto di Genova.

QUEI GRANI – frutto di cafetales condotti col metodo dell’agricoltura biologica – sono raccolti nella regione degli Altos del Chiapas dai circa 800 contadini associati nella cooperativa Yach’il Xojobal Chu’lchan, che è oggi il fornitore principale delle tre realtà italiane che importano caffè zapatista: l’associazione Ya Basta, la torrefazione artigianale Caffè Malatesta e l’associazione Tatawelo, che opera in collaborazione con la cooperativa Libero Mondo. È stata Tatawelo, a inizio dicembre, ha lanciare un appello per denunciare le violenza in corso nella regione degli Altos, dopo il ritorno da una missione di Dulce Chan Cab e Walter Vassallo, che sono i peferenti del progetto in Chiapas dell’associazione. Nella zona infatti ci sono circa 3 mila profughi e 4 mila indigeni impossibilitati a vivere nelle loro terre, vittime della violenza causata da un’assegnazione di confine che non rispetta i limiti storici della regione.

GLI ANZIANI DEL VILLAGGIO vedono i campi dove coltivavano il mais e il caffè occupati dai vicini che, armati, si sono impossessati delle terre creando desplazados ( sfollati) .I desplazados sono gruppi di popolazione povera, resiliente, capaci di vivere in comunità organizzandosi con poco, e in cui la terra e il mais risultano elementi essenziali di sopravvivenza e del caffè fanno fonte di reddito.

«Siamo stati in Messico dal primo al 23 novembre, e come sempre abbiamo visitato i nostri referenti, e contadini associati alla cooperativa – racconta Walter Vassallo all’ExtraTerrestre – A San Cristobal de Las Casas ci siamo confrontati con lo staff del centro diritti umani Fray Bartolomé de Las Casas e con il Desmi (l’associazione che dà supporto in ambito agronomico alle comunità, ndr), decidendo poi di promuovere quest’appello, che come importatori abbiamo già inviato». È indirizzato, tra gli altri, al sottosegretario per i diritti umani del governo messicano (che dal 1° dicembre è guidato da Andrés Manuel Lopez Obrador, del partito Morena), al governatore dello Stato del Chiapas, ma anche all’ambasciata italiana e alla responsabile dell’Ufficio Economico-Commerciale della nostro ufficio diplomatico. «I contadini locali hanno serie difficoltà nel recarsi alle loro coltivazioni per seminare mais o raccogliere il caffè» aggiunge Vassallo, tanto che «con il Frayba stiamo pensando a brigate di osservazione internazionale per tutelare almeno la raccolta del caffè nei municipi coinvolti, dove risiedono anche alcune decine dei nostri produttori».

A GENNAIO, quando il caffè sarà maturo, c’è il rischio che non possa essere raccolto. Per questo, sottolinea l’appello, «la violenza nelle comunità della regione degli altipiani del Chiapas coinvolge anche noi consumatori finali del caffè, acquistato e sostenuto economicamente attraverso gli esportatori del commercio equo, per cui riteniamo a nostra volta di interpellare le autorità delle diverse agenzie federali e statali affinché sia tutelato il nostro investimento in Messico, considerando altresì l’importanza di prendersi cura dei settori produttivi del caffè nello stato del Chiapas per importazioni efficaci. Per molti agricoltori il caffè è la loro unica fonte di reddito per le loro famiglie e il fatto di non averlo li costringerebbe a migrare per trovare sostentamento. L’insicurezza dei produttori di caffè genera un abbandono forzato delle coltivazioni, una bassa qualità del caffè e una violazione dei contratti internazionali stipulati per non essere in grado di raccogliere caffè. Questo è un forte danno economico per uno Stato che occupa il primo posto in Messico nella produzione di caffè, con il 35% della superficie seminata e il 40% della produzione nazionale. Inoltre, sta emergendo come leader mondiale nella produzione di caffè biologico secondo i dati del Coffee Institute of Chiapas (Incafech)». La comunità a cui si è rivolta l’associazione Tatawelo è quella dei soggetti – in molti casi gruppi d’acquisto solidali – che nel corso degli anni hanno sostenuto i cafeticoltores del Chiapas partecipando al prefinanziamento del caffè, cioè acquistando e pagando nell’inverno precedente il caffè che ricevono dopo l’estate. Un modo per garantire ai soci delle cooperativa zapatiste l’indipendenza economica nelle fasi di lavorazione dei grani. Nel 2018 il prefinanziamento ha raggiunto i 152mila euro (132mila nel 2017, 112mila nel 2016), coinvolgendo ben 150 soci che raccolgono organizzano e consegnano il caffè ai gruppi di accquisto.

UN PROGETTO IN CONTINUA EVOLUZIONE: a Natale 2018, in collaborazione con di Libero Mondo, che nei suoi laboratori di Roreto di Cherasco (Cn) si occupa anche dell’inserimento nel mondo del lavoro di persone con disabilità o che arrivano da situazioni di disagio sociale, Tatawelo ha promosso un nuovo progetto a sostegno della comunità indigene del Chiapas, legato alla trasformazione delle ciliegie del caffè, la buccia che ricopre i grani. «Tecnicamente si chiama drupa (assume un colore rosso vivo quando il frutto è maturo, ndr) ed è un elemento di scarto, che resta a terra: i contadini ne usano un po’ per concimare. Il nostro obiettivo, però, è arrivare a dar valore al 100 per cento della produzione, per sostenere i produttori indigeni» racconta Luca Gioelli di Libero Mondo.

Di «ciliegie» se ne ottengono 4 chili per ogni chilo di caffè: nell’estate del 2018 nel container ce n’era un sacco, che è stato trasformato in farina e usato per impastare il «bizcocho», un biscotto con farina di ciliegie di caffè (al 9,5%), che porta il marchio del progetto Tatawelo. È un esempio di economia circolare e solidale: la produzione sperimentale è di appena mille e trenta pacchetti, distribuiti tra grazie ai soci tra i Gas italiani. Poi, spiega Luca Gioelli, «faremo un sondaggio, per capire il gradimento». Violenza permettendo, nell’estate del 2019 il caffè zapatista sarà accompagnato dalla sue bucce. Pronte a diventare biscotti rivoluzionari.

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