Europa

In attesa della turbina che riapre il Nordstream. E del piano di Bruxelles

Enagas, il più grande impianto di rigassificazione di d'Europa, a Barcellona, Spagna foto ApEnagas, il più grande impianto di rigassificazione di d'Europa, a Barcellona, Spagna – Ap

Energia Berlino e l’Ue restano dipendenti dalla pipeline controllata da Putin

Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 19 luglio 2022

«La turbina arriverà il 24 luglio». Quarantotto ore prima della presentazione del piano emergenza gas a Bruxelles rimbalza l’eco della data di arrivo del pezzo di ricambio più atteso dal governo Scholz quanto dalle industrie europee appese alla canna di Gazprom.

Tecnicamente significa che dopo la «pausa tecnica» il Nordstream potrà ricominciare a trasferire milioni di metri cubi di gas dalla Russia alla Germania, indispensabili in primis a riempire le riserve invernali tedesche, ben al di sotto dello stock italiano e già intaccate ben prima della fine dell’estate.

Politicamente, invece, vuol dire che Berlino e l’Unione europea restano dipendenti dalla «manutenzione programmata» della pipeline controllata da Mosca, che potrebbe anche decidere di legare la durata dei lavori in corso alle sanzioni anti-russe.

Insomma «una catastrofe» la cui colpa, in buona sostanza, è di…Angela Merkel. Dice proprio così, pubblicamente, il ministro dell’Agricoltura, Cem Ozdemir, denunciando la «situazione disastrosa ereditata dall’esecutivo precedente» di cui faceva parte (è il messaggio collaterale) anche la Spd, nonché l’attuale cancelliere. «Ricevere il 60% del nostro gas dal criminale Putin non è stata per niente una buona idea. Non voglio che sia lui a determinare quanta energia riceviamo noi europei», scandisce il ministro dei Verdi.

Comunque fuori tempo massimo; con o senza nuova turbina per il Nordstream nella Locomotiva d’Europa sono già cominciate a schizzare le bollette domestiche, ovvero è saltato qualunque contratto stipulato dagli utenti prima della guerra in Ucraina.

A Berlino dal fine settimana le cassette della posta sono intasate delle lettere delle aziende elettriche aventi tutte, indistintamente, il medesimo oggetto: «Adeguamento verso l’alto della tariffa di base, causa guerra di aggressione della Russia all’Ucraina». Nella confinante Potsdam, capitale del Brandeburgo, si traduce nell’unica centrale a gas della città costretta ad alzare il prezzo del 45% dopo averlo raddoppiato all’inizio di marzo. Da 26 centesimi per Kilowattora a oltre 46 è la nuova tariffa “di guerra” a partire dal 1 settembre per un terzo degli 85.000 utenti della municipalizzata.

Mentre da Baku la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, ieri ha fatto sapere di aver chiuso l’accordo per raddoppiare il flusso di gas azero verso gli hub europei: almeno 20 miliardi di metri cubi da qui al 2027 (l’anno scorso erano 8) rappresentano «l’ennesimo sforzo per allontanare l’Europa dalla dipendenza dei combustibili fossili russi che Mosca continua a usare come un’arma», riassume la presidente alla perenne ricerca di forniture alternative.

Ma a Bruxelles si lavora pure a diversificare le fonti. Ieri la Commissione ha dato il via libera al fondo pubblico di 5,4 miliardi di euro per sostenere lo sviluppo dell’idrogeno. Nel nome della svolta ambientalista e prima ancora della sicurezza energetica, come ha ammesso il commissario al Mercato interno, Thierry Breton, promettendo 20 mila nuovi posti di lavoro e 8,8 miliardi aggiuntivi in investimenti privati.

Il nodo da sciogliere, tuttavia, rimane stretto sulla corda già tesissima del risparmio energetico, imprescindibile per evitare l’inquietante «gas-crunch» il prossimo inverno. Fatih Birol, direttore esecutivo dell’Agenzia internazionale dell’Energia (Iea), ieri ha chiesto all’Ue di pianificare subito «azioni coordinate» per riuscire a risparmiare almeno 12 miliardi di metri cubi entro il 21 dicembre. Gas imprescindibile per i depositi strategici europei, da trovare a costo di introdurre controlli e sanzioni perfino sul consumo domestico, come confermano all’Iea.

Proprio sul «deterioramento delle forniture» si è incardinato il piano Ue che verrà presentato domani, in attesa di sapere nel dettaglio quali interventi pratici e soprattutto le priorità sul tavolo della Commissione che punta anzitutto a coordinare le misure di riduzione del fabbisogno già varate dai singoli Stati. Di certo, non basterà abbassare a 19 gradi i termosifoni e, forse, neppure gli incentivi finanziari alle aziende che riducono i consumi.

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