Ci sono uno scrittore e un fotografo italiani su una barca lunga diciassette metri che scendono lungo il Rio Negro, in piena Amazzonia. Quella barca prima era di proprietà di un medico di Manaus e si chiamava Comandante Elgaly. «Porta fino a venticinque passeggeri che possono dormire sulle amache o nei quattro posti letto delle due cabine. In teoria sarebbero dotate di aria condizionata, ma è parecchio difettosa e in balia del generatore», scrive Angelo Ferracuti, che redige il resoconto di viaggio. Il fotografo, che viaggia con lui, e che dal 2015 fa la spola tra l’Italia e il cosiddetto polmone del mondo, è Giovanni Marrozzini. Entrambi arrivano, singolarmente, da un luogo che si chiama Fermo, e ora sono qui che scendono lungo il «fiume mondo», verso il cuore di tenebra del capitalismo.

DI «VIAGGIO SUL FIUME MONDO», che è al contempo un reportage di viaggio, una meditazione sulle origini, un atto d’accusa, e una specie di doloroso atto d’amore per l’arte di connettersi agli altri esseri umani, si potrebbe dire molto. Il libro (Mondadori, pp. 228, euro 18,50) è ricco e per l’appunto fluviale, dentro ci sono anni di viaggi (cinque insieme, separatamente molti di più) fatti da Ferracuti e Marrozzini, tra Brasile, Colombia e Perù. C’è il petrolio che scorre in acque cui si affacciano uomini e donne per mangiare, e dove pescano morte invece di perpetuare il ciclo della vita.
Ci sono ragazzini finiti dentro il tornado delle droghe e della prostituzione, ci sono sciamani, preti, affaristi, e ci sono gli Yanomami, i Waimiri Atroari, popolazioni di indigeni che vedono la valanga del futuro abbattersi su di loro e portare distruzione e estinzione. C’è il cosiddetto sviluppo senza progresso di cui diceva Pasolini, che promette a tutti una vita migliore e batte a morte le campane di chi non ce la fa. C’è lo sterminio alle porte, cinico, devastante, imperdonabile. «Se la mia gente sarà sterminata – dice il leader Davi Kopenawa e giustamente i due autori lo mettono in esergo, a maniglia del volume – dovrete distruggere anche tutte le nostre fotografie, perché le future generazioni, guardando quelle immagini, si vergognerebbero di un simile crimine contro l’umanità».

E PERÒ AL CENTRO DI TUTTO c’è l’Amalassunta, la barca che Marrozzini e Ferracuti acquistano perché questo viaggio sia fatto, perché queste parole vengano scritte e arrivino da quell’altra parte del mondo. E perché la barca invece resti lì, diventi una scuola galleggiante dell’Associazione del Piccolo Nazareno. Perché è importante dire che al centro c’è l’Amalassunta? Perché questo libro, così esemplare e significativo, è ostinatamente contrario al giornalismo da social media, alla partecipazione da like, al corredo ricattatorio tra immagini da Instagram e parole da Twitter. È la potenza di un gesto antico, il corpo di chi guarda messo a rischio nell’atto stesso di andare a cercare.

QUANTE VOLTE IL LETTORE pensa, leggendo Viaggio sul fiume mondo, «ma chi gliel’ha fatto fare», mentre gli autori finiscono in mezzo ai cartelli della droga, mentre volano su un Piper che suona precario anche sulla pagina, mentre negoziano, arringano, e migliaia di chilometri da casa, con persone senza niente da perdere, che non temono la morte.

Quello che resta, alla chiusura del libro, sono due vocazioni fuori tempo massimo, di due artisiti sordi alle sirene sedative del contemporaneo, e che proprio grazie a quella sordità, del contemporaneo sanno maneggiare realmente, toccare con le mani, con gli occhi, con le immagini e con le parole, la consistenza. Il libro di Ferracuti e Marrozzini non è un reportage con delle foto di accompagnamento. Viaggio sul fiume mondo è un cuore di tenebra che, come nel libro di Joseph Conrad, tiene insieme la scoperta e lo sconvolgimento, l’orrore e l’istinto ad andarlo a cercare, stanare, salvare. Per farlo però servivano quattro occhi, due non sarebbero stati sufficienti.

«AL CONTRARIO DI ME – scrive Ferracuti – che sono sempre nella realtà e nel presente, lui ama le storie antiche, che ogni tanto mi racconta con lo stesso entusiasmo di un bambino affascinato da una favola. Io invece ho ancora negli occhi i visi, gli sguardi delle persone in carne e ossa che vivono intorno a questo porto; la vita semplice e miracolosa di chi deve sbarcare il lunario ogni giorno, un’avventura difficile, spesso impossibile che mi commuove». Per questo è fondamentale che il libro si apra con le foto di Marrozzini, che il suo sguardo archetipico e dolcemente feroce, sia la porta d’ingresso a questo mondo. Perché quelle immagini mettono al muro, inquietano noi che stiamo di qua. E poi arrivano le parole, ma il lettore sa già che in gioco ci sono la vita e la morte, del pianeta e dell’anima dell’occidente.

Poi arriva lo sguardo puro e sempre precario di Ferracuti, e insieme dicono una cosa chiara. Finiranno male, finiremo tutti male. Ma anche bevendo petrolio, anche con la cocaina nel caso, questi uomini, queste donne e questi bambini, saranno sempre migliori di voi.