In 80.000 a Berlino per gridare insieme Donna, vita, libertà
I giorni dell'Iran Ieri nella capitale tedesca sono arrivate persone da tutta l’Europa per la manifestazione, dieci volte le previsioni della polizia
I giorni dell'Iran Ieri nella capitale tedesca sono arrivate persone da tutta l’Europa per la manifestazione, dieci volte le previsioni della polizia
«Woman, Life, Freedom». Sono oltre 80 mila a scandirlo, in inglese e in farsi, tra la Colonna della Vittoria e la Porta di Brandeburgo: il doppio di quanti ne erano attesi, dieci volte l’imprudente stima della polizia federale. Basta e avanza a certificare lo straordinario successo della manifestazione «That is the Time», se non fosse che la mobilitazione in solidarietà alle donne iraniane ieri a Berlino è andata davvero oltre la cifra oceanica.
Un evento politicamente di massa, inimmaginabile anche solo una settimana fa durante i preparativi per riunire nel cuore dell’Ue la tutt’altro che compatta diaspora iraniana. Invece sono arrivati letteralmente da tutta Europa a bordo decine di treni e riempiendo il centinaio di pullman che ha mandato in tilt non solo il traffico della capitale: impossibile non sbatterci addosso fisicamente e soprattutto impossibili da ignorare per i politici di Bruxelles come per i turbanti di Teheran. Il messaggio non solo è chiaro ma anche a furor di popolo.
MARJAN, franco-iraniana di 23 anni, gira lo schermo dello smartphone compulsato per trovare il link al video delle studentesse universitarie che in mattinata hanno cantato «Woman, Life Freedom» a Tabriz. Poi passa alle foto degli arresti indiscriminati a Zahedan che qualche minuto prima hanno innescato lo slogan: «Mullah go home!». «Sono qui per sostenere la lotta delle mie coetanee, che è arrivata alla sesta settimana. Anche per denunciare l’ipocrisia dell’Europa che ci aiuta sempre e solo a parole».
Trenta metri più avanti qualcuno ha riconosciuto le studentesse iraniane di feminista.berlin (il gruppo artistico-politico che ha indetto la manifestazione di ieri insieme al collettivo “Women* Life Freedom”) che dieci giorni fa hanno montato le tende davanti al quartier generale dei Verdi in Invalidenstrasse mettendo in scena la performance con magliette insanguinate all’attenzione di Robert Habeck e Annalena Baerbock. «I leader dei Verdi parlano sempre di diritti umani. La ministra degli Esteri ha anche promesso una politica estera “femminista”. Poi però non fanno nulla» sintetizza Setajesh Hadizadeh tra le casse che sparano una canzone rivoluzionaria persiana in versione Deutsch.
IN FONDO AL CORTEO un capannello di donne imbandierate nel tricolore si consulta per capire a che ora parla Hamed Esmaeilion – portavoce delle vittime del volo Ukrainian Airlines 752 abbattuto due anni fa dai Pasdaran a Teheran – tra gli interventi più attesi della manifestazione. «Ha tenuto viva fuori dall’Iran l’indignazione per l’assassinio di Mahsa Amini. Venti giorni fa ha organizzato 150 manifestazioni in tutto il mondo» sottolinea con una punta di orgoglio la signora originaria di Kermanshah, la città-natale di Esmaeilion.
In prima fila, invece, a favore di telecamere, nel primo pomeriggio si erano polmonati contro gli Ayatollah i filo-scià con gli inconfondibili simboli Pahlavi: per loro ieri è stato un appuntamento non troppo diverso da ogni sabato di protesta davanti alla Porta di Brandeburgo, solo che questa volta i vessilli sono stati sovrastati dalle bandiere senza il leone. Si sente parlare in curdo ma ci sono anche famiglie originarie del Balucistan, la provincia iraniana dimenticata al confine col Pakistan, e soprattutto una marea di cartelli e striscioni di ogni tipo. Su quello srotolato dagli iraniani d’Australia si chiede di «espellere i diplomatici di Teheran e ritirare l’ambasciatore australiano» ma spiccano anche le richieste della «Iran-Revolution» post-khomeinista.
«Oggi abbiamo dimostrato che siamo capaci di mettere da parte le differenze politiche. Brutto segnale per la teocrazia di Teheran. Se gli iraniani cominciano a fare massa anche all’estero…» è l’analisi-auspicio lasciata in sospeso da Sakhine, fuggita a Lund (Svezia) con figlia e marito prima dell’ultimo giro di vite del regime dei Mullah. A voler seguire il suo dito che scorre dietro gli alberi del Tiergarten il successo della protesta coincide con il fiume di bus parcheggiati tra il Reichstag e la cancelleria federale: «Siamo arrivati da tutta Europa: Londra, Parigi, Bruxelles, Bologna».
UN’ORA PRIMA del concentramento sotto la Colonna della Vittoria, sempre nel crocevia che divide in quattro il Tiergarten, la Sinistra aveva chiuso il comizio dell’«Autunno Solidale»: mobilitazione per chiedere il tetto al prezzo dei beni di prima necessità e agli affitti. «Due manifestazioni, una lotta» riassume l’ex segretaria della Linke, Katja Kipping, camminando spedita insieme a 3.500 persone in direzione del Regierungsviertel, il quartiere governativo di Berlino. Fa in tempo a spiegare che le due proteste si fondono non per la prossimità geografica ma perché la lotta delle donne iraniane è una questione di politica interna, dato che il regime di Teheran fa ampio utilizzo di licenze made in Germany per tenere in piedi la sua finta-autarchica.
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