Da Lahore a Karachi, da Islamabad a Peshawar è andato in scena ieri in Pakistan un copione già scritto: proteste che infiammano tutto il Paese, seguito naturale all’arresto di Imran Khan, il leader populista patrono dei poveri e amato dai diseredati che un lungo braccio di ferro ha visto resistere al potere giudiziario fin dalla sua cacciata dal Parlamento oltre un anno fa.

Fino a ieri, quando le forze paramilitari lo hanno ammanettato mentre si recava in una sezione dell’Alta Corte nella capitale. Poi, appena un video dell’arresto è stato fatto girare dal suo partito, il Pakistan Tehreek-e-Insaf (Pti), la gente ha cominciato a riversarsi nelle piazze. Il video, che mostrava le forze di sicurezza in tenuta antisommossa mentre portavano via il leader su un furgone, conteneva anche un esplicito invito ad agire.

SECONDO il suo avvocato, Khan sarebbe stato anche preso a calci, colpito alla testa e con spray al peperoncino prima di essere portato via. Potrebbe essere sentito già oggi in tribunale, sostiene la tv pachistana Geo. Twitter, Facebook e Youtube sono stati intanto limitati in tutto il Paese.

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Ma se alcuni giudici lo vogliono ai ferri, a non tutta la magistratura piacciono i metodi spicci usati ieri contro Khan, tanto che il giudice a capo dell’Alta corte di Islamabad – riferiva Al Jazeera – ha espresso la sua rabbia sostenendo che l’azione contro Imran è anche un attacco alla corte, perché l’ex primo ministro era all’interno dei locali del tribunale.

Quanto alla reazione popolare, è stata immediata in un copione già provato più volte e che non sembra arrivato alle sue battute finali ma che getta nuovamente il Paese nel caos. Un Paese fragile, dove un governo fragile, che teme Imran e soprattutto le sue piazze, è stato accusato dall’ex campione di cricket pachistano di aver influenzato la magistratura con accuse motivate politicamente.

Il ministro dell’Interno Rana Sanaullah ha cercato di sgombrare il campo da accuse di complottismo politico e ha detto che l’arresto di Imran Khan è stato effettuato «in conformità alle leggi» e su ordine del National Accountability Bureau (Nab), un’istituzione indipendente il cui campo d’indagine è la trasparenza. Rassicurazioni che non basteranno.

Khan è stato arrestato in relazione a un caso di corruzione nel cosiddetto dossier Al-Qadir University Trust, dove l’indagine riguarda l’assegnazione di alcuni terreni. Durante il suo mandato come primo ministro del Pakistan, Khan aveva promesso di sviluppare un progetto che avrebbe dovuto offrire un’istruzione di qualità a Jhelum, nel Punjab. Ma Imran comincia col coinvolgere sua moglie Bushra Bibi e alcuni suoi stretti collaboratori come Zulfiqar Bukhari e Babar Awan.

QUEST’ULTIMO e la moglie diventano funzionari dell’Al-Qadir University Project Trust. Poi però, ricostruisce Business Today, viene siglato un accordo tra l’allora governo a guida Pti e un magnate immobiliare che porterà a una perdita di 190 milioni di sterline per l’erario nazionale. Non è l’unica vicenda giudiziaria in cui Imran Khan è coinvolto.

Tra accuse minori (appropriazione indebita) e maggiori (terrorismo) l’ex premier sta collezionando una quantità di capi di imputazione, nonché una serie di vittorie legali per evitare arresto e audizioni in tribunale, senza precedenti. Oltre alle leggi e ai cavilli si è servito della piazza quando, in precedenza, la polizia aveva tentato di dare seguito a un mandato di arresto.

Stavolta però Khan aveva evidentemente deciso di giocarsi il tutto per tutto ben sapendo che un possibile arresto, pendaglio sempre in agguato, avrebbe infiammato i suoi ragazzi. Così è stato, nell’ennesima saga di uno dei più particolari e popolari politici pachistani.