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Imran Kahn nella morsa di religiosi e industriali

Imran Kahn nella morsa  di religiosi e industrialiUna moschea in Pakistan – Ap

In Pakistan allentato, tra le polemiche, il lockdown Le moschee sono state aperte, non rispettando l'accordo in 20 punti sottoscritto con il governo

Pubblicato più di 4 anni faEdizione del 10 maggio 2020

Alla vigilia delle misure di allentamento del lokdown attive da ieri, il Pakistan aveva già registrato giovedì la sua giornata peggiore con 26 morti in Punjab, sei nel Khyber Pakhtunkhwa e 14 nel Sindh proprio mentre il governo prendeva la decisione finale sul termine della fase 1.

Venerdì non è andata meglio con l’aggiunta di 2mila nuovi infetti in 24 ore e sabato il Pakistan si è svegliato con un nuovo aumento dei casi – oltre 25mila – e dei decessi. Sebbene in termini relativi i numeri siano ancora bassi se paragonati ad altri Paesi (i morti sono poco più di 600), restano preoccupanti in un Paese ad elevata densità demografica con strutture sanitarie fragili e un alto tasso di povertà sia nelle aree urbane sia in quelle rurali. Il rischio, su cui molti esperti mettono in guardia, riguarda sia la scarsa capacità di test, che forse nasconde una realtà di contagi peggiore, sia una possibile nuova ondata di infezioni.

La scelta di allentare il lockdown da questo sabato è stata segnata da polemiche che non riguardano soltanto il fatto che il Pakistan sia l’unico Paese islamico del mondo dove di fatto le moschee restano aperte – unicità che ha attirato i riflettori della cronaca – e dove spesso si ignorano le più elementari regole di distanziamento fisico o addirittura vige l’assenza di disinfettanti e mascherine.

I dissidi tra province e governo federale hanno creato un clima di confusione che lascia ampi spazi di manovra sia ai singoli ministri provinciali sia alle persone che non hanno indicazioni troppo chiare su cosa e come fare. Le province di Punjab e Sindh, per esempio, hanno chiarito che estenderanno ancora le restrizioni e la querelle sulla riapertura delle ferrovie ha visto un braccio di ferro tra Islamabad e le capitali provinciali alla fine risoltosi in loro favore.

Stretto tra la necessità di salvaguardare vite umane e la pressione dell’industria, il premier Imran Khan sembra aver ceduto (non è certo l’unico caso) alla seconda, anche perché molta economia è nelle mani dell’esercito che cumula così due poteri. Ma Khan doveva anche tener conto sia dei potentati provinciali sia delle moschee, sorta queste ultime di potere autonomo con la forza della piazza oltreché della scomunica. Risultato: scarsa chiarezza e programmi confusi.

Del resto, il coordinatore nazionale responsabile del virus per il governo – citato su The Dawn da Sakib Sheraniha, ex consigliere economico di Khan – è un buon esempio: confrontando l’attuale tasso di mortalità tra Covid-19 e i decessi per incidenti stradali, è giunto alla conclusione che, poiché questi ultimi uccidono ma il traffico stradale non è vietato, la stessa logica dovrebbe applicarsi al virus.
Quanto alle moschee, il governo aveva siglato un accordo in venti punti che è stato clamorosamente violato. Nel solo distretto di Rawalpindi, 450 tra mosche e imambargh (luoghi di raccolta degli sciiti) non avrebbero applicato completamente le linee guida. E un rapporto interno della provincia di Khyber Pakhtunkhwa ha dato conto di decine di incontri religiosi con assembramenti di 200 o 500 persone, spalla a spalla in preghiera. Già in marzo del resto, oltre 2600 casi erano stati imputati a un singolo raduno dell’organizzazione missionaria Tablighi Jamaat, già nell’occhio del ciclone in Malaysia, India e Indonesia per i suoi raduni di massa in epoca di Covid-19. Infine nelle ultime ore si sono aggiunti gruppi sciiti che hanno comunicato che non rinunceranno alle processioni per il martirio di Ali. :

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