Mentre a Roma infuria la battaglia parlamentare sul dl Cutro riveduto, corretto e incarognito dalle pressioni della Lega, da Varsavia il capo dello Stato interviene sul tema e date le circostanze è ovvio che le sue parole vengano pesate col bilancino. Sulla firma del dl senza appunti ufficiali non dovrebbero esserci dubbi di sorta. Certo a un uomo che proviene dal solidarismo cattolico la restrizione drastica della protezione speciale non può piacere ma ritiene che a deciderla è un governo democraticamente eletto e se ci dovessero essere dubbi di costituzionalità sarà la Consulta a scioglierli.

Proprio perché intende mantenere una posizione di rigida terzietà, il presidente, dalla Polonia, ha parlato sì di immigrazione, sia nell’incontro col presidente Duda che pubblicamente, ma evitando allusioni al tema che infiamma l’Italia. Ha preso invece di petto la necessità di rivedere le regole di Dublino: non è certo un caso che lo abbia fatto con tanta determinazione nella capitale di uno dei Paesi che più si oppongono alla revisione di quel trattato.

«Nessuno Stato da solo può affrontare un problema così epocale», esordisce Mattarella. Poi precisa e rincara: «Ma l’Unione europea può farlo, con un’azione coordinata e ben organizzata. È un tema che richiama a una nuova politica di immigrazione e asilo, superando vecchie regole che sono ormai della preistoria». Che il messaggio sia rivolto alla Polonia di Visegrad è evidente, ma qualcuno ci legge anche un’allusione precisa all’Italia di Meloni e Salvini, che della revisione di Dublino si sono sempre disinteressati. Ufficialmente perché ritengono che il problema in Italia sia esclusivamente quello dell’immigrazione clandestina e dunque non sia quasi toccato dal Trattato ma molto, anzi moltissimo anche per non turbare i rapporti con i Paesi amici di Visegrad.

In realtà il richiamo alla necessità di affrontare il problema dell’immigrazione come europeo e non di competenza dei singoli Stati, tema martellante nei discorsi della premier, fa premio sulla frecciata che, diretta alla Polonia, rimbalza anche sul governo italiano. Il discorso di Mattarella era molto più un appoggio che non una stilettata e in ogni caso la linea di Meloni era già stata chiarita due settimane fa alla Camera: «Il Regolamento di Dublino va rivisto ma non è una soluzione per l’Italia. Serve un approccio più globale che non può prescindere dalla cooperazione con i Paesi africani». Lo stesso Mattarella a Varsavia affronta lo stesso tema, partendo dalla crisi nel Sudan e dalle attività del gruppo Wagner in Africa che devono «richiamare a grande allarme la Nato e la Ue». Ed è quindi ancora la Ue che deve prodursi in «un’azione attiva, protagonista, impegnandosi fortemente su questi fronti».

A palazzo Chigi hanno interpretato le parole del presidente come un appoggio totale alla strategia del governo, quella del Piano Mattei. È un po’ tirata per i capelli ma non del tutto. Il capo dello Stato si è davvero convinto che oggi l’interesse del Paese passi per il sostegno a una premier che sui punti per lui essenziali, la guerra e l’adesione senza riserve alle regole europee, si sta dimostrando affidabile.

Le parole e soprattutto i toni di Mattarella sull’Ucraina, del resto, combaciano perfettamente con quelli di Meloni. Il presidente italiano registra «piena sintonia» col presidente della nazione più vicina ai falchi che ci sia in Europa. Mattarella riprende parola per parola la posizione di Duda: «Se l’Ucraina fosse lasciata alla mercé di questa aggressione altre ne seguirebbero». Conferma il sostegno su tutti i fronti a Kiev «finché è necessario» e si dice «inorridito da alcuni comportamenti disumani che, nella guerra, vengono utilizzati da parte delle Forze armate russe».

Nulla di nuovo a prima vista ma la politica è spesso fatta di sfumature e toni così rigidi adoperati nel Paese più determinato d’Europa nel sostegno all’Ucraina fino alla sconfitta della Russia, in completa sintonia con la premier che vuole fare dell’Italia una sorta di “Polonia dell’ovest”, sono tutt’altro che ovvi. Si può capire perché a palazzo Chigi, ieri sera, si fregassero soddisfatti le mani.