Cultura

Immaginario pre Brexit, tra maghi, spie e misteri

Immaginario pre Brexit, tra maghi, spie e misteriUna scena dal film «Il ministero della guerra sporca» di Guy Ritchie

Itinerari critici Un’eredità britannica fatta di mito, storia e letteratura. «Aleister Crowley MI5» di Richard C McNeff (Atlantide), «Agenti segreti» di Paolo Bertinetti (Sellerio), «Il ministero della guerra sporca» di Damien Lewis (Neri Pozza)

Pubblicato 3 mesi faEdizione del 3 agosto 2024

Tra le molte conseguenze della sciagurata scelta dei britannici di separarsi, perlomeno politicamente, dal resto d’Europa con la Brexit, ve ne è una forse meno drammatica quanto ad esiti sociali, ma le cui possibili ripercussioni non sono tuttavia da sottovalutare. Si tratta dell’allontanarsi, nel ritorno del Paese alla sua primigenia natura isolana, dell’invidiabile contributo locale a quell’immaginario globale che alimenta, e al tempo stesso si nutre esso stesso, della cultura popolare, dei suoi miti, delle sue storie, dei suoi eroi. Una tradizione che, forzando solo un po’ la natura delle cose, si potrebbe dire la Gran Bretagna abbia contribuito ad allevare inventando via via «i consumi giovanili», la letteratura di genere e costruendo una sorta di «mito democratico», paradossale per una monarchia e un ex impero, spesso alternativo o comunque dissonante rispetto a quello che gli Usa sono andati edificando ma dentro il mondo contraddittorio che volgeva alla Guerra fredda.

UN’EREDITÀ, in particolare quella della via britannica ad un’interpretazione pop della storia che si può scorgere, con risultati diversi, guardando a tre recenti volumi. Nel primo caso, Aleister Crowley MI5 di Richard C McNeff (traduzione di Paola Olivetto e Mirko Zilahy, Atlantide, pp. 208, euro 24), ci si trova in presenza di un romanzo di grande fascino che esplora una delle molteplici vite vissute da una delle figure più sorprendenti e influenti della Londra della prima metà del ’900: l’esoterista, astrologo, scrittore e poeta Aleister Crowley, l’eco del cui pensiero è rintracciabile dai Beatles e i Rolling Stones a Somerset Maugham, e Leonardo Sciascia, oltre a buona parte delle culture giovanili d’avanguardia. In questo caso, nella Londra di fine anni Trenta, la Bestia, come Crowley era solito autodefinirsi, vive le proprie avventure mistico-sessuali, della partita sono anche il poeta Dylan Thomas e Victor Neuburg, mentre tutto intorno cresce l’allarme per la guerra imminente e la minaccia nazista. McNeff ricostruisce con gusto il clima di quei giorni, i ripetuti giochi retorici che coinvolgono i personaggi principali, e gli incontri strabilianti di cui sono protagonisti, compreso quello con Edoardo VIII e la sua amante Wallis Simpson, descritta apertamente come una spia al soldo del Terzo Reich.

ALLO STESSO TEMPO, il romanzo cerca di far luce, anche sulla scorta di un’ampia bibliografia, su quello che resta, in un percorso dai contorni decisamente misteriosi, un ulteriore mistero, vale a dire il possibile coinvolgimento di Crowley nella guerra di spie dell’epoca. Malgrado sia noto il ruolo che il nazismo magico esercitò nell’orientale le scelte hitleriane, in questo caso Crowley non avrebbe ceduto alle sirene tedesche, sostenendo invece le ragioni delle democrazia, e del proprio Paese, mettendosi al servizio del controspionaggio di Londra, l’MI5. Non solo.

Il romanzo si chiude con uno scontro magico nei cieli di Londra, dove la Bestia si misura con un attacco di Zeppelin come quello che aveva effettivamente colpito la capitale britannica, ma nel 1915. In quella che Crowley descrive come «la distruzione del mondo con il fuoco», si può forse scorgere l’annuncio di ciò che accadrà di lì a qualche anno con gli attacchi lanciati in vista di una possibile invasione nazista dell’isola: le arti magiche, in questo caso, sembrano chiamare il Paese alla mobilitazione. Prima che sia troppo tardi. Crowley sarebbe morto nel 1947 a causa di una grave forma d’asma, come conseguenza del ripetuto abuso di morfina e eroina, ma più d’uno, durante la Seconda guerra mondiale, aveva lodato il ruolo avuto dall’occultista nel sostenere gli sforzi della Gran Bretagna per fermare i nazisti. Tra loro, Ian Fleming, ufficiale della Royal Navy durante il conflitto e membro dell’intelligence della Marina, che all’inizio degli anni Cinquanta avrebbe iniziato a pubblicare le storie del più noto agente segreto della storia della letteratura, James Bond.

Una scena dal film «Il ministero della guerra sporca» di Guy Ritchie

Alla straordinaria epopea della spy story inglese dedica ora un volume, introdotto da un testo di Goffredo Fofi del 2015, Paolo Bertinetti, professore emerito dell’Università di Torino e tra gli studiosi più attenti alla storia culturale della Gran Bretagna. In Agenti segreti (Sellerio, pp. 400, euro 16), Bertinetti propone una riflessione colta che muove dallo spionaggio che si intreccia con le vicende dell’Impero coloniale britannico, i personaggi di Kipling e Conrad, per spingersi, dopo aver attraversato la stagione della Guerra fredda, da Fleming a Forsyth e le Carré, fino alle odierne incursioni nel genere di Banville, McEwan o Coe.

INFINE, con Il ministero della guerra sporca (traduzione di Alessandra Manzi, Neri Pozza, pp. 376, euro 22), Damien Lewis, reporter di guerra e autore di romanzi storici, rielabora in chiave narrativa una vicenda che trae origine dall’«esercito segreto» che il primo ministro Winston Churchill, in collaborazione con i servizi della Marina, e lo stesso Ian Fleming, mise in piedi nella primavera del 1940 per contrastare i nazisti oltre le linee del fronte, in territorio nemico. Quella che nella realtà prese il nome di «operazione postmaster» diventa così una sorta di romanzo d’appendice bellico – da cui il regista Guy Ritchie ha tratto il film omonimo (in programmazione su Prime video), ispirandosi esplicitamente a Bastardi senza gloria di Tarantino -, in grado di coniugare una vicenda tutta britannica con la lingua dell’immaginario globale.

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