Finalmente, dopo oltre quindici mesi di detenzione, Ilaria Salis ha ottenuto gli arresti domiciliari. La settimana scorsa, com’è noto, il tribunale di Budapest ha accolto il ricorso degli avvocati della difesa e le ha concesso questa misura previo pagamento di una cauzione di 41.000 euro. Tutto questo, come si diceva, dopo più di quindici mesi di detenzione, e che detenzione!

I mesi scorsi abbiamo appreso che la situazione di Ilaria in carcere era un po’ migliorata, ma sempre molto critica; in ogni caso la donna risultava provata dai lunghi mesi di prigionia in condizioni igieniche inaccettabili, secondo il suo racconto. Si aggiungano le poche ore d’aria, le catene ai polsi e alle caviglie per andare e stare in tribunale e il fatto che questa assurda custodia cautelare era di per sé stessa una condanna.

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Sembra che in occasione della seconda delle tre udienze svoltesi quest’anno, a partire da quella di fine gennaio, l’accusa avesse affermato che l’obiettivo di questa detenzione era esortare l’imputata a riflettere sulla gravità del crimine commesso. Come abbiamo detto e scritto tante volte, fa già pensare il fatto che si desse per scontato che Ilaria avesse commesso un crimine.

Crimine non ancora provato, così come, checché ne dica il ministro degli Esteri Péter Szijjártó, non è provato che la nostra connazionale faccia parte di organizzazioni definite terroristiche dedite alla caccia ai neonazisti. Eppure “illustri” rappresentanti del sistema di potere che da quattordici anni guida l’Ungheria, danno per scontata la colpevolezza, approvano la custodia cautelare e auspicano pene esemplari. Con tanti saluti alla presunzione di innocenza.

Quanto alla riflessione sulla gravità del reato compiuto vi è da considerare che quelle descritte da Ilaria non sono condizioni che agevolino la riflessione, caso mai inducono sofferenza. Noi parliamo di una persona di cui non è stata accertata la colpevolezza ma circostanze di detenzione di quel genere sono inaccettabili a prescindere che si sia colpevoli o meno.

Nel caso dei primi, di coloro i quali sarebbero davvero chiamati a riflettere su quanto hanno fatto, a riflettere per migliorarsi, per reinserirsi nel tessuto sociale, c’è da dire che non si vede come un processo di questo genere possa aver luogo. Senza attività trattamentali, senza un confronto con l’esterno, come si può agevolare un percorso di elaborazione e rinnovamento individuale? A maggior ragione in ambienti caratterizzati da condizioni assai discutibili di igiene e vivibilità. Ma già, l’amministrazione penitenziaria ungherese dice che le prigioni del paese non sono alberghi a cinque stelle. L’avevamo capito.

Oggi 24 maggio, come sappiamo, c’è stata la nuova udienza del caso Salis, udienza che finalmente ha visto Ilaria arrivare senza ceppi, ma che non è iniziata bene. Infatti, il giudice József Sós ha rivelato l’indirizzo dell’appartamento destinato a Ilaria per scontarvi i domiciliari. L’accaduto non è roba da niente, Roberto Salis si è subito rivolto all’ambasciatore italiano Jacoangeli chiedendogli di “fare qualcosa”, l’avvocato della difesa, György Magyar avrebbe fatto giustamente notare che l’indirizzo non deve essere rivelato anzi, tenuto sotto riserbo, e non inserito nel verbale.

È una questione di sicurezza, d’altra parte ricordiamo gli orridi murales che raffiguravano Ilaria su un patibolo con la corda al collo e le minacce, all’ingresso del tribunale, all’avvocato Eugenio Losco, legale italiano della Salis, e a un gruppo di amici della donna, da parte di una “comitiva” di neonazisti ringhianti e rabbiosi. Questo è avvenuto il giorno dell’udienza di marzo. Sembra che poi il giudice abbia fatto cancellare l’indirizzo dal verbale.

Ilaria ha quindi finalmente ottenuto i domiciliari; è un passo avanti ma c’è ancora tanto da fare per giungere alla fine di questa storia lunga e pesante. Tanto da fare per lei, per coloro i quali sono detenuti ingiustamente, per i rei ristretti in condizioni inaccettabili.

È una battaglia di civiltà, che altro?