Cosa ha spinto il segretario generale dell’Onu settimana scorsa, con evidente ritardo, a chiedere un incontro con i due protagonisti della guerra? Per quanto se ne sa, al netto forse di qualche telefonata, nessun Paese ha chiesto il suo intervento. La diplomazia internazionale sembra ormai aver accantonato il ruolo di mediazione che l’Onu può svolgere e, quel che è peggio, il Palazzo di Vetro ne è così conscio da non aver mosso un passo, al netto di qualche generico appello. Poi, a quasi due mesi dall’invasione, Antonio Guterres batte un colpo. Grazie a quali pressioni?

Il 20 aprile il portavoce Onu Stéphane Dujarric spiega che Guterres ha chiesto a Putin e Zelensky di riceverlo. Richiesta consegnata martedì 19 alle missioni dei due Paesi a New York. Il giorno prima, Stephen Schlesinger, autore di Act of Creation: The Founding of The United Nations e collaboratore di PassBlue, gruppo giornalistico indipendente che copre con assiduità il lavoro dell’Onu, anticipa quanto sta per accadere: «L’unico punto in cui la risposta dell’Onu alla crisi ucraina è stata vacillante – scrive il 18 aprile – è il ruolo del segretario generale. Antonio Guterres, è apparso come uno spettatore (e) non è riuscito a intraprendere alcuna azione quando le truppe russe hanno originariamente circondato l’Ucraina, per esempio volando a Mosca per incontrare Putin per scoprire se poteva aiutare a dissipare le sue preoccupazioni. Segretari generali come Dag Hammarskjold, U Thant, Kofi Annan e Ban Ki-moon, avrebbero agito in modo più proattivo per prevenire lo scoppio di una guerra e avrebbero utilizzato tutte le misure per farlo».

Nei giorni precedenti qualcosa si era mosso sia all’interno del Palazzo di Vetro sia da parte di gruppi della società civile. Di almeno due «spinte» vale la pena dare conto. La prima, è la lettera aperta che, già in marzo, porta la firma di 16 premi Nobel sotto la richiesta di una tregua e del ritiro delle forze russe dall’Ucraina. Lettera aperta, ma ovviamente indirizzata a Guterres tanto che il manifesto pubblico viene accompagnato da una lettera in busta chiusa indirizzata proprio a lui: il 23 marzo infatti Lisa Clark e Philip Jennings, co-presidenti dell’International Peace Bureau (Nobel 1910) gli scrivono in forma privata sollecitandolo «urgentemente a recarsi a Mosca e a Kiev per cercare di negoziare un cessate il fuoco e quindi, si spera, per aprire anche le porte alla soluzione del conflitto con mezzi pacifici».

Aggiungono che «finora sono state troppo poche le donne coinvolte nei tentativi di porre fine alla guerra» e gli consigliano di coinvolgere Audrey Azoulay (Unesco) e all’Alta Commissaria per i diritti umani Michelle Bachelet.

La seconda spinta è di un mese dopo con una lettera datata 15 aprile firmata da 208 ex pezzi grossi del sistema Onu: dall’Unicef all’Undp, dall’Oms all’Unesco. Non si usano mezzi termini: «Come ex membri dello staff del sistema, ci prendiamo la libertà di rivolgerci direttamente a te nella tua qualità di amministratore delegato dell’unico organismo globale che il mondo possiede… ti preghiamo di intensificare gli sforzi personali e agire sulla base delle lezioni apprese dai precedenti conflitti, per la cessazione delle ostilità e risoluzione dei conflitti con mezzi pacifici».

Quello che le due lettera raccontano è che le spinte a mediare, negoziare, fermare la guerra vengono dal basso. Non dai governi. L’unico esecutivo a muoversi è quello dello Stato cattolico per eccellenza, più o meno ufficialmente. Padre Enzo Fortunato, già portavoce del Sacro convento di Assisi, ha incontrato a New York Guterres proprio alla vigilia del suo viaggio di questi giorni.