Mentre infuriano le guerre mondiali, il parlamento italiano discute di premierato, così può essere una prova di contemporaneità il fatto che un senatore di maggioranza provi a risolvere la faccenda a botte. Certi conflitti, però, sono più sceneggiati che agiti e così quando i senatori dell’altra parte si tolgono le giacche è solo per protesta e non per rispondere colpo su colpo. In ogni caso da oggi le camere vanno in pausa per le europee e la pessima riforma della Costituzione che vuole intestarsi Meloni ha fatto solo un passo avanti.

Quello che serviva a confermarla come argomento di richiamo elettorale: chi non vuole un solo capo che decide senza troppi impicci? Anche il fatto che in parlamento scatta la rissa e si finisce in maniche di camicia può essere la prova che le aule sono ingovernabili. Per cui viva i pieni poteri. Non viene il sospetto che il parlamento è ridotto a un teatro proprio perché le decisioni già oggi non passano più di lì. Eppure basterebbe dare un’occhiata alla lista dei decreti legge (uno a settimana) per averne la prova.

Mentre le guerre mondiali fanno scempio di giustizia e i crimini internazionali sono diventati una linea di politica estera, il governo italiano si occupa anche, effettivamente, di giustizia. Nel senso, però, dei giudici con le toghe nere e rosse di casa nostra. Si potrebbe pensare che non è una cattiva idea, visto che una causa civile ci mette qualche anno a partire e poi quando parte almeno tre anni a concludersi.

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Solo che il governo non si preoccupa di questo: sarebbe in fondo troppo semplice, basterebbe ad esempio assumere nuovi addetti all’ufficio del processo che sta funzionando bene o confermare le migliaia di precari che già ci lavorano. E non si occupa neanche delle carceri, dove il sovraffollamento è esploso e l’estate si annuncia come una tortura al quadrato. Si occupa, invece, di un’altra bandierina elettorale, questa volta quella che vuole sventolare Forza Italia.

Nello scambio a tre, la Lega è probabilmente quella che è cascata meglio, perché l’autonomia differenziata è l’unica legge ordinaria delle tre “riforme” ed è anche quella più vicina all’approvazione definitiva. A cascar male anche in questo caso è il paese, che si troverà a breve con i diritti graduati per residenza e l’egoismo stabilito per legge.

La riforma della giustizia merita attenzione, malgrado sia stata evidentemente messa insieme in tutta fretta per dare anche a Forza Italia quello che chiedeva a una settimana dal voto. Non bastava il nome di Berlusconi nel simbolo del partito e la sua foto nei santini elettorali. Si sa che la buonanima ci teneva e la «separazione delle carriere» arriva come ennesimo omaggio alla memoria. Festeggiato non a caso dai ministri con la stessa esclamazione che fu del Cavaliere – «una riforma epocale» – quando di questi tempi tredici anni fa il suo governo approvò una riforma simile (scritta un po’ meglio). Le cronache informano che fu tanto poco «epocale» che se ne parlò solo per qualche settimana, sui giornali e mai in parlamento.

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Questa approvata ieri è, da allora, l’unico caso di un testo di riforma costituzionale sulla giustizia che sia stato ufficialmente varato dal Consiglio dei ministri. Così la destra mentre è già imbarcata per una riscrittura della forma di governo – che per Meloni un giorno è «la madre di tutte le riforme» e il giorno appresso «chi se ne importa» se non viene approvata – vuole partire anche per un’altra modifica della Costituzione. Sempre a botte di maggioranza, quindi a volerla prendere sul serio il referendum costituzionale non sarà alla fine uno ma saranno addirittura due.

Eppure sul serio questa destra va presa, se non per le probabilità che un simile testo sgangherato arrivi in porto – il modo in cui si dovrebbero «eleggere» senza eleggerli, ma sorteggiandoli, i rappresentanti nei Csm, che diventano due ma conservano un solo vertice, e com’è disegnata l’«Alta corte» disciplinare che spezzerebbe l’autonomia della magistratura, ma senza spezzarla, resta del tutto oscuro – almeno riguardo alla ispirazione. Quella sì è chiarissima.

Perché altrimenti impuntarsi a cambiare la Costituzione per dividere giudici da pm (ai quali al contrario farebbe benissimo provare quella esperienza) quando già adesso cambia funzione appena l’1,5% dei togati? La risposta allude chiaramente ad altro, non all’efficienza e neanche alla terzietà delle toghe. Allude all’indipendenza della magistratura, che adesso disturba i manovratori per esempio quando una giudice smonta i provvedimenti anti migranti perché si ricorda che leggi comunitarie e Costituzione valgono più dei mille decretini di Piantedosi. E dunque fare del pubblico ministero, un po’ alla volta, un braccio della polizia può fare tanto comodo. Soprattutto quando con l’altro braccio la polizia ha cominciato a picchiare.