Non siamo alla viglia di un colpo di Stato, stiamo “solo” assistendo ad una lenta erosione della nostra democrazia costituzionale. Questo non può essere negato. È ciò che viene orgogliosamente rivendicato dall’attuale maggioranza, che intende farla finita con la nostra troppo lenta democrazia parlamentare – «democrazia interloquente» è stata con sprezzo definita – per giungere ad una contrapposta «democrazia decidente». L’identità al posto della rappresentanza plurale, la decisione in sostituzione della faticosa ricerca del compromesso parlamentare. Credo si debba prendere sul serio questa volontà di cambiare il volto della democrazia.

D’altronde che non sia una vuota promessa è dimostrato dai fatti, che sono eloquenti. Ricordiamone alcuni. Abbiamo assistito ad aggressioni da parte delle forze dell’ordine a pacifici manifestanti, minorenni inclusi, che protestavano senza arrecare alcun pericolo per la sicurezza e incolumità pubblica. In contrasto, dunque, con la libertà di riunirsi pacificamente e senz’armi, secondo quanto pretende l’articolo 17 della costituzione. Abbiamo visto censure mosse nei confronti di intellettuali; denunce promosse da esponenti del Governo per giudizi critici rivolti nei loro confronti; responsabili del Governo contrastare la stampa non per contestare fatti, ma per delegittimare le opinioni o le inchieste svolte. Tutte azioni in conflitto con l’articolo 21, posto a garanzia della libertà di manifestazione del pensiero e del pluralismo. Abbiamo visto utilizzare l’arma della precettazione con una disinvoltura mai prima immaginata, dimentiche del diritto di sciopero di cui all’art. 40 della nostra costituzione.

In materia di migrazioni si è manifestata una distanza abissale rispetto ai valori della costituzione. Sono venute meno le garanzie dei diritti inviolabili che devono essere assicurate a tutte le persone, stranieri compresi. La situazione dei centri di permanenza e rimpatrio è disumana: dovrebbero essere chiusi. L’attuale maggioranza, invece, si preoccupa solo di aumentare inutilmente le pene, individuando nuovi improbabili reati. Contro ogni dovere di solidarietà o solo umana pietà.

L’aggressione ai fondamenti della nostra democrazia costituzionale ora sta assumendo la veste formale di riforme legislative e costituzionali pericolose. L’introduzione del c.d. «premierato elettivo» finirebbe per stravolgere gli equilibri costituzionali; l’autonomia differenziata inasprirebbe le già rilevanti disparità tra i territori; la progettata separazione delle carriere comprometterebbe l’indipendenza della magistratura.

Abbiamo fatto tante volte – inascoltati – l’analisi critica di ognuna delle disposizioni che si vogliono introdurre, dal punto di vista tecnico, politico e costituzionale. Mi limito adesso a rilevare il fatto che la nostra costituzione viene ormai concepita come una torta da fare a fette: a ciascun partner di governo viene data una sua porzione per sfamare il proprio elettorato. Altro che la costituzione di tutti, quel «patto consociativo» che unisce un popolo nella sua diversità. In passato – nel 2006 e nel 2016 – abbiamo visto riforme della costituzione approvate da risicate maggioranze parlamentari. Ci ha poi pensato il popolo della costituzione a rimettere le cose al loro posto. Adesso siamo giunti alla costituzione pretesa dal singolo partito, dobbiamo sperare ancora nella saggezza del popolo della costituzione.

Ora, però, vorrei rivolgere una domanda direttamente ai nostri parlamentari, soprattutto a quelli di maggioranza che si apprestano a decidere sulla riforma del premierato.
Caro parlamentare, vorrei chiederti se vuoi scegliere di assoggettarti ad una servitù volontaria, ad un Capo da cui dipenderà la tua vita e la tua autonomia politica. Un Capo eletto senza contrappesi con una maggioranza al traino, che dispone del potere di scioglimento del parlamento, cui affidare assieme al nostro anche il tuo futuro. Oppure vuoi provare a tornare ad essere un rappresentante della nazione che esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato come prescrive la nostra costituzione.

Nel secondo caso, dammi retta caro parlamentare, lascia perdere il premierato e prova a riscattarti, sii coraggioso. In fondo basterebbe poco. Sarebbe sufficiente, mettere le mani sui regolamenti parlamentari perché tu possa riprendere la parola: riappropriati della discussione, limita la decretazione d’urgenza, riprenditi il potere legislativo che ti è stato indebitamente sottratto, ma che la costituzione ti assegna. In fondo dipende solo da te. Non ci sarà nessun Dio (nessun Capo) a salvare il parlamento, ma solo tu potrai salvarti e con te la democrazia parlamentare.

E poi vorrei rivolgermi ai c.d. «governatori» per chiedere: caro Presidente di regione, ma veramente aspiri ad appropriarti di tutto il potere possibile a scapito dei diritti dei tuoi concittadini, innescando una lotta di tutti contro tutti, tra le diverse regioni e tra i territori della repubblica? Non sarebbe meglio se ti preoccupassi di ben amministrare una società complessa nel rispetto dei principi costituzionali definiti dagli articoli 5, che promuove sì le autonomie, ma per assicurare una più solida unità e indivisibilità della Repubblica; dall’art. 118, che attribuisce sì le più ampie funzioni amministrative, ma affinché queste siano esercitate non in via esclusiva, bensì per assicurare la solidarietà territoriale, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza; dall’art. 119, che permette sì l’autonomia finanziaria di entrata e di spesa, ma non prima di aver rimosso gli squilibri economici e sociali che attraversano il paese, promuovendo la coesione e la solidarietà sociale. Perché, caro Presidente, non provi a dimostrare che l’autonomia regionale, può essere declinata in una chiave solidarista, per concorrere al benessere nazionale in concerto con le altre regioni. È questo il modello di regionalismo della nostra costituzione, ancora tutto da attuare.

Per opporsi alla regressione annunciata c’è bisogno di una rivoluzione, quella promessa e mai realizzata. La costituzione come moto del cambiamento.