Il turismo del parto della classe media cinese
La traduzione Il «turismo del parto», come è stato definito da molti giornali americani, è decisamente in aumento. Fonti cinesi parlano di cinquemila casi all'anno, persone che arrivano a spendere quindicimila dollari per una permanenza di tre mesi e una nuova cittadinanza.
La traduzione Il «turismo del parto», come è stato definito da molti giornali americani, è decisamente in aumento. Fonti cinesi parlano di cinquemila casi all'anno, persone che arrivano a spendere quindicimila dollari per una permanenza di tre mesi e una nuova cittadinanza.
Che cosa non si farebbe per i figli? Questo articolo di Rose Luqiu – giornalista cinese – parla proprio di questo. Il fenomeno che ci racconta però è molto interessante: alcune coppie di genitori cinesi vanno all’estero, spesso in America, a partorire. Spesso lo fanno per sfuggire al divieto sul secondo figlio, spesso semplicemente perchè posssono permettersi di regalare al neonato una nazionalità diversa da quella cinese e a volte perché questo parto di lusso costa più o meno quanto la multa da pagare per la nascita di un secondo figlio, se non esistono le condizioni che permettono questo fatto straordinario. Parliamo di gente della classe medio-alta, residente per lo più nelle grandi città cinesi, Pechino, Shanghai, Canton. Non serve aggiungere altro.
Questo «turismo del parto», come è stato definito da molti giornali americani, è decisamente in aumento. Fonti cinesi parlano di cinquemila casi all’anno; famiglie che arrivano a spendere quindicimila dollari per una permanenza di tre mesi, e una nuova cittadinanza. Le autorità di entrambi i paesi stanno valutando misure per arginare il fenomeno: gli americani si ritrovano a fornire assistenza o istruzione a cittadini che non pagano le tasse, mentre la tassa cinese finalizzata al controllo delle nascite, in questo modo è aggirata. Si tratta in generale di un fenomeno spontaneo di questi tempi moderni.
Nel 2006 sono stata da un’amica in California. Era appena diventata mamma e aveva passato il mese successivo al parto (parte del periodo puerperale che nella cultura cinese, e più generalmente in quella orientale, vuole la neo-mamma in ricovero dentro casa per il primo mese n.d.t.) in una clinica specializzata. Diceva che l’ambiente non era male: assistenza di infermiere certificate H24, ostetriche specializzate e addirittura personale esperto in lavande e prodotti usati nel caso in cui la partoriente fosse cinese.
Mi ha anche detto che oltre a quelle che, come lei, vivevano e lavoravano negli Stati Uniti, alcune donne in attesa erano arrivate appositamente da Taiwan per dare ai propri figli il passaporto americano. Negli ultimi anni sono state diffuse molte notizie simili, dalle quali risulta che diverse cliniche di questo genere – in origine gestite da taiwanesi – sono state rilevate da cinesi e che oggi, i principali clienti per i soggiorni mensili sono soprattutto cinesi.
Le presenze in questi centri sono in aumento, tanto che nel 2007 c’è stato il caso di una clinica specializzata denunciata alla polizia da alcuni vicini insospettiti dal grande via vai di mamme e bambini: [pensavano] fosse un centro di immigrazione illegale. La sempre-pronta polizia proseguì al controllo immediato, provocando una gran confusione.
Per una coppia di genitori oltre alla salute fisica, l’importante è non essere truffati. Per far ottenere la cittadinanza americana ai propri figli, i soldi non sono un problema. Proprio come quelle coppie che vanno a Hong Kong per partorire: alcuni lo fanno per aggirare la norma sul secondo figlio [che vieta o impone ingenti multe], altri lo fanno per offrire più possibilità ai propri figli.
I bambini sono impotenti: dove nascere e dove studiare è una scelta che spetta ai genitori e ai loro piani. Con un passaporto americano o della regione speciale di Hong Kong hanno comunque una scelta in più e possono godere dei benefici di due paesi come, ad esempio, l’istruzione pubblica gratuita, la comodità libertà negli spostamenti e nei viaggi. Se però pensiamo agli anni della crescita, le cose non sono così semplici. Alcuni amici, tornati a lavorare in Cina [dall’America] hanno dovuto riflettere a lungo proprio sul dove far studiare i propri figli: in America o in Cina? E, dopo il rientro, mandarli alla scuola pubblica, oppure iscriverli in una scuola internazionale (privata)? Se la prima ipotesi è accettabile per la scuola primaria, per la scuola secondaria il problema si ripropone: Cina o America?
Così le famiglie devono vivere separate. Il padre fa carriera in Cina per guadagnare soldi per la famiglia e la madre è in America con il bambino, troppo piccolo per stare tranquilli anche per eventuali ripercussioni che potrebbe avere da adulto per essersi separato dai genitori troppo presto. Altre famiglie invece allevano i figli in Cina, spendendo soldi e pensieri per scegliere una scuola internazionale o una scuola primaria o secondaria tra quelle più rinomate. Il fatto è che comunque stiamo parlando di famiglie che hanno possibilità, famiglie per le quali sarebbe anche possibile tornare in America. Le condizioni economiche di questi genitori che hanno partorito i propri pargoli in America piuttosto che ad Hong Kong sono buone, non hanno questo genere di grattacapi, ma se le finanze di una famiglia fossero nella media o perfino se parlassimo di un standard più alto della media, il margine di scelta nel seguire il bambino che cresce non sarebbe così ampio. Ma c’è ancora un problema, ovvero il riconoscimento identificativo del bambino, da adulto. Il figlio della mia amica sta a Hong Kong e studia presso la scuola internazionale di Singapore, dove ogni giorni fanno l’alzabandiera con la bandiera nazionale. Un giorno, nel rispondere a qualcuno che gli chiedeva di dove fosse, questo bimbo di soli sei anni, ha risposto, seriamente: «Sono di Singapore». Solo dopo un anno di scuola a Pechino, dove erano tornati tutti insieme, ha preso coscienza di essere un cinese.
Quando a diciott’anni un bambino cinese nato in America che ha studiato in Cina, dovrà scegliere la propria nazionalità sceglierà quella cinese andando contro le speranze originarie dei genitori?
Non valuterà la diversa nazionalità in termini di benefici come un adulto e tenderà a un’identificazione con il proprio riconoscimento di sé. Allora i genitori come faranno a convincerlo? E se invece scegliesse il passaporto americano, andasse in America per magari scoprire di non riuscire ad integrarsi in quella società e sviluppare forme di depressione perché sente di non avere radici?
In quel momento, i genitori non dovrebbero forse chiedersi se la decisione iniziale è stata presa per il futuro del figlio o se con quella scelta hanno reso il figlio un investimento per il loro futuro?
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