Volata maestosa di Jonathan Milan sul lungomare di San Salvo. Primo arrivo in volata e prima vittoria italiana, dunque. Il nostro olimpionico dell’inseguimento replica le gesta, quasi le movenze, che lo hanno portato a tanti successi assieme a Ganna, segno evidente che l’apprendistato su pista fa bene a chi abbia intenzione di cogliere allori anche su strada. In Italia ci siamo arrivati un po’ tardi, ma finalmente si comincia a raccogliere qualche frutto.

Si partiva da Teramo, per visitare un po’ l’interno, ma dopo poco si recupera la costa, giusto in tempo per far affrontare ai corridori due strappetti buoni ad assegnare la prima maglia dei gran premi della montagna (se la prende Lapeira). Da lì in poi il gruppo si ritrova sulle stesse strade di ieri traboccanti di trabocchi, solo che il percorso si allunga fino alle estreme propaggini d’Abruzzo.

Si affrontano rotonde su rotonde. In mezzo a una di queste, quasi in vista dell’arrivo, un monumento ricorda le lotte contadine per l’occupazione delle terre incolte di Bosco Motticce.

A vederla così, un po’ sonnecchiosa, con la marina che si risveglia piano piano dal letargo dell’inverno, non si direbbe, ma San Salvo ha un passato di incubatrice di rivolte. In quelli che il fascismo rivendicava come anni di pacificazione – si era nel 1930 – l’intero paese insorse contro la risaia che si era deciso di impiantare ai margini dell’abitato, col seguito immancabile della morte contadina che ronzava come le zanzare portatrici di malaria. Il prefetto rimosse il podestà in seguito alla sommossa, ma la notte, a bocce ferme, scattarono retate e arresti di massa. Vent’anni dopo comunisti, socialisti e tanta gente comune partì dalla casa del sindacato, il tricolore in testa, per rivendicare pane, terra e lavoro e occupare il latifondo incolto. Ancora una volta, contro l’ordine costituito, la comunità riprendeva in mano il proprio destino. Se non fu eccidio, come nella vicina Lentella, fu solo per l’intervento del deputato locale del PCI Bruno Corbi.

Poco dopo la partenza era andata via la prima fuga di questo Giro, con Lapaira, Champion, Verre, Bais e Gandin. Il gruppo li osserva avvantaggiarsi senza batter ciglio, si limita a tenerli d’occhio e li riassorbe senza, in verità, dannarsi troppo.

Il rettilineo d’arrivo, con le spiagge ad accompagnare da oriente gli ultimi chilometri di corsa, è ampio e liscio come un biliardo. Anzi, come il parquet di un velodromo. Vista la scarsa concorrenza (in teoria) per le volate, Gaviria si sente forse quasi obbligato alla vittoria, e questo gli è fatale, perché parte troppo presto. Lo rimontano in diversi, ma è Milan che prende il centro della strada, saltella come un picchio sul telaio e si toglie quasi di ruota Dekker per trionfare a braccia alzate sul traguardo.