Lo chiamano il Tren Maya, il treno dei Maya, ma non è un treno. E non è neppure maya. Non è un treno perché, pure se il progetto prevede anche la realizzazione di una ferrovia, questa si integra con un più ampio disegno chiamato Corredor interoceánico che comprende la costruzione di strade, raffinerie e parchi industriali. E non è neppure maya perché i maya, quelli veri, o meglio i loro discendenti che preferiscono definirsi «popoli originari», di questo progetto che devasta quanto rimane della loro antica terra non ne vogliono proprio sapere.

SIAMO NELL’ISTMO DI TEHUANTEPEC, nel sud del Messico, là dove il continente americano si restringe sino a quando i due grandi oceani, il pacifico e l’Atlantico, arrivano quasi a sfiorarsi. La distanza tra il golfo omonimo e la baia di Campeche, infatti, è inferiore ai 200 chilometri. Più a sud, il Paese torna ad allargarsi nella penisola dello Yucatan. Ed è proprio qui, in questo istmo in gran parte coperto dalla selva tropicale, che un mega progetto governativo prevede la realizzazione di una grande arteria per metà ferroviaria e per l’altra metà autostradale che ha l’obiettivo di fare concorrenza al canale di Panama nel trasporto delle merci da una parte all’altra dei due oceani. Un progetto che cambierà l’intera geografia del Messico meridionale, benedetto dagli Usa e finanziato per lo più da capitali europei messi a disposizione dalla Deutsche Bahn, la società ferroviaria tedesca.

«PER GLI STATI UNITI SI TRATTA di una mossa strategica volta a rispondere al nuovo scenario geopolitico creatosi dopo la riconsegna del canale di Panama ai panamensi, tenendo anche conto che la Cina sta aumentando giorno dopo giorno la sua influenza sul governo e sull’economia del Paese centroamericano. Il Corredor di Tehuantepec, una volta realizzato, consentirebbe al mercato mondiale di dirottare su questa arteria almeno il 30 per cento delle merci che ora transitano per Panama. Una arteria vicina anche geograficamente agli Stati Uniti e, per di più, posta sotto il controllo di un Paese come il Messico che gli Usa considerano un po’ il loro giardino sotto casa», spiega Raul Zibechi. Il sociologo di Montevideo ha partecipato a una carovana di giornalisti e attivisti europei organizzata dal Cni, il Congresso Nazionale Indigeno che raggruppa i popoli originari del Messico, e dall’Eznl, l’esercito zapatista di liberazione nazionale del Chiapas, per denunciare le devastazioni ambientali e sociali che il Corredor rischia di innescare.

ALL’INIZIATIVA, SVOLTASI NELLA PRIMA metà di maggio, hanno partecipato anche una ventina di attiviste e attivisti italiani guidati dall’associazione Ya Basta Êdî Bese e dal Nodo Solidale. Una ventina di giorni, dalla costa occidentale a quella orientale del Messico, ospiti delle varie comunità indigene dell’istmo, in cui gli attivisti hanno potuto constatare con i propri occhi i danni all’ecosistema provocati dai cantieri della grande opera ed assistere alle partecipate manifestazioni di protesta organizzate dal Cni.

«ESTE TREN NO ES MAYA, ESTE TREN ES MILITAR», urlavano uomini e donne in corteo, mentre sfilavano davanti ai cantieri recintati con filo spinato e presidiati da autoblindo e postazioni di mitragliatori. Questo treno non è maya, questo treno è militare. E non soltanto perché la difesa dei lavori in corso è affidata alle forze armate, in particolare a quelle della Marina Militare che, come spesso avviene nei paesi latino americani, non avendo particolari compiti di difesa dei mari, è loro affidata la repressione dei movimenti popolari.

AD AVERE LA GESTIONE DEI LAVORI del Corredor sono infatti proprio le forze armate nazionali che, in Messico, hanno facoltà su concessione governativa di «fare impresa», assumendo personale edile ed appaltando lavori a ditte esterne. Questa procedura, che per certi versi è simile al nostro commissariamento, scavalca qualsiasi norma di tutela ambientale e aggira controlli di bilancio e di spese. Il tutto in nome della sicurezza del Paese e dell’interesse nazionale dell’opera da realizzare il più velocemente possibile.

GLI ESERCITI, SI SA, CON LA DEMOCRAZIA hanno poco a che fare e non li fermi con le carte bollate. Inutili quindi le richieste di sospensiva dei lavori che gli avvocati dei popoli indigeni sono riusciti a ottenere dai tribunali per fare chiarezza sull’impatto ambientale dei lavori in una zona così fragile e sull’effetto che questi avranno nelle comunità locali, che dovrebbero peraltro, essere tutelate dalla Costituzione messicana. Il Tren Maya va avanti preceduto dalle camionette blindate dell’esercito. Avanza senza stare a sindacare su diritti dei popoli nativi che incocciano la sua strada e senza perdere tempo in valutazioni di carattere ambientale.

GLI ACCAMPAMENTI CHE GLI INDIGENI alzano lungo il suo percorso nel tentativo di arrestarne l’avanzata vengono sgomberati dalla marina militare. E con il treno avanzano le grandi cicatrici di cemento che divorano la selva vivente. «Le ricadute del Corredor saranno, oltre che ambientali, anche sociali – spiega Zibechi – Su queste terre gli indigeni hanno realizzato molte comunità autonome ed autogestite sul modello di quelle zapatiste del Chiapas.

Oltre alla massiccia presenza militare nel loro territorio, questa gente dovrà affrontare una profonda trasformazione delle loro terre comunitarie che acquisteranno valore di mercato. Il Tren Maya infatti ha anche una forte valenza turistica e già viene pubblicizzato come una sorte di trenino in stile Disney che attraversa le zone più spettacolari dell’antico impero dei maya. Cosa peraltro falsa anche storicamente perché molti di questi popoli non sono neppure di discendenza maya. Ma le conseguenze saranno che terreni oggi quasi inaccessibili verranno privatizzati e messi in vendita, sorgeranno resort di lusso e altre attrattive che avranno come effetto quello di delocalizzare i popoli originari che dovranno abbandonare quelle che oggi sono le loro terre. Il lavoro agricolo comunitario sarà sostituito da quel lavoro salariato di cui si nutre il capitalismo».

IL CORREDOR FARA’ PIAZZA PULITA di quello che rimane della cultura e della società degli indigeni del Messico, sostengono i portavoce locali. Oltre al Tren Maya, il progetto che investe l’intero istmo di Tehuantepec prevede la realizzazione di 10 parchi industriali, lo sviluppo dei due porti dell’istmo, quello di Salina Cruz che si affaccia sul Pacifico e quello di Minatitlan, a ridosso del porto di Coatzacoalcos, sull’Atlantico, che diverranno gli scali di riferimento per le merci destinate a passare da un oceano all’altro in un intervallo di tempo che si stima attorno ai tre giorni.

NEI DUE PORTI SARANNO AMPLIATE le raffinerie esistenti, mentre una terza raffineria sarà realizzata a Dos Bocas, sulla costa atlantica. Un luogo particolarmente significativo perché si trova a ridosso di El Bosque, un villaggio di pescatori che negli ultimi anni è stato sommerso dal mare per il mutamento della corrente del Golfo causato dai cambiamenti climatici. Questione per la quale il Tren Maya staziona dalla parte sbagliata della storia, in quanto il progetto prevede anche la realizzazione di piattaforme di estrazione di petrolio al largo della costa dello Stato del Tabasco, poco più a sud, per fornire l’energia necessaria a nutrire il Corredor.

ANDREA MAZZOCCO, AUTORE DEL LIBRO Economia comunitaria indigena, edito da Ombre Corte, e coordinatore degli attivisti europei alla carovana, spiega come il Corredor sarà anche una frontiera volta a fermare le migrazioni dirette verso gli Usa. «Il progetto taglierà l’intero istmo con una arteria industriale costellata da caserme militari. Per i migranti sarà quasi impossibile riuscire a superarla. Ed è proprio sulla presenza di questi migranti da trasformare in manodopera sfruttabile e ricattabile, magari con l’aiuto delle organizzazioni criminali, come già fatto a Monterrey, che il Corredor interoceánico conta per essere appetibile economicamente. Un perfetto esempio di capitalismo applicato».