Europa

Il trauma della rassegnazione

Il trauma della rassegnazione

Svezia Sono giovani rifugiati, ben inseriti nella società svedese e studenti modello. Fino a quando non gli viene comunicato che saranno rimpatriati. Allora cadono in coma o tentano il suicidio

Pubblicato più di 7 anni faEdizione del 19 maggio 2017

In Svezia una misteriosa malattia si è sviluppata tra bambini e ragazzi migranti, tra i 9 e 15 anni. Colpisce quelli ben integrati quando vengono a sapere che saranno espulsi presto verso il paese d’origine: si ritirano diventando completamente apatici, cadendo in uno stato simile al coma. Ne ha parlato in aprile The New Yorker dedicando al tema un inchiesta di ben 20 pagine «The trauma of facing deportation». (Reportage quanto mai attuale ripreso da vari media in Germania e Austria, paesi in cui sono iniziate, come in Svezia le espulsioni di massa in Afganistan dei richiedenti asilo respinti, con tanto di voli charter e manifestazioni di protesta di cittadini e ong).

La malattia è stata riconosciuta ufficialmente dalle autorità sanitarie svedesi nel 2014 come Uppgivenhetsssyndrom o resignation syndrom (RS), sindrome della rassegnazione.

Tra i casi emblematici raccontati dal giornale americano Georgi, fuggito con i genitori e il fratellino dalla Russia, Ossezia del nord. Cinque anni dopo il suo arrivo in Svezia si era perfettamente integrato. Allegro e pieno di energia, studente modello a scuola, amato da tutti, compagni ed insegnanti, La nuova vita in terra svedese procedeva alla grande. Nell’estate 2015, sette anni dopo il suo arrivo nel paese, cambia tutto. In casa è arriva la lettera di respingimento della domanda di asilo, già tentata più volte. Il rendimento scolastico di Georgi comincia a peggiorare, ementre un altro ricorso viene respinto improvvisamente un suo compagno di scuola, un bambino afghano, scompare improvvisamente, rimpatriato in Afghanistan con la famiglia.

A questo punto la situazione precipita: Georgi non si alza più dal letto, non apre più gli occhi , rifiuta di mangiare, e non reagisce più a nessuno stimolo. Amici e insegnanti lo vengono a trovare a casa ma il ragazzo è come in uno stato di coma, totalmente apatico, sempre più magro. Per sopravvivere deve essere alimentato artificialmente con un tubo. Lo assiste la dottoressa Elisabeth Hultcrantz della clinica universitaria Linkoeping, che ha seguito una quarantina di casi simili.«Credo che lo stato di coma in cui si trovano i ragazzi sia una forma di protezione. Si distaccano semplicemente da questo mondo». Anche se l’origine precisa del resignation syndrom non è del tutto chiara, ricercatori e medici partono dall’assunto che i bambini rifugiati dopo un vissuto così drammatico come l’aver rischiato la vita nel paese di origne, espulsioni e fuga non possono continuare a vivere senza avere una speranza a cui aggrapparsi. Dopo aver trovato rifugio in un paese sicuro come la Svezia per loro è inimmaginabile dover ripiombare nelle condizioni terribili vissute del loro paese d’origine. Per Georgi andrà bene, nell’estate 2016 il governo svedese riconosce alla sua famiglia il diritto di soggiorno permanente. Così, gradualmente, alcuni mesi dopo il tredicenne ritorna alla vita. Ha raccontato così la sua malattia: «Non avevo più volontà, ero molto stanco. Mi sentivo come dentro una gabbia di vetro con pareti sottili nel profondo del mare. Parlando o muovendomi il vetro si sarebbe rotto e l’acqua mi avrebbe ucciso, ogni movimento avrebbe potuto uccidermi».

Georgi non è stato un caso isolato. Già nei primi anni 2000 circa 424 bambini sono stati trattati per la stessa sindrome, documentata e studiata da numerose cliniche e università svedesi. La scoperta dei primi casi di piccoli migranti diventati apatici perché traumatizzati dalla prospettiva di espulsione provocò uno shock in Svezia, troppo forte e intollerabile era il contrasto con l’immagine di paese modello del welfare e dei diritti umani. 42 psichiatri scrissero al governo una lettera aperta accusandolo di maltrattamento pubblico di minori.

A difesa dei bambini si scomodò persino il re. Il governo che rischiava di cadere bloccò allora le espulsioni riaprendo le procedure d’asilo e concesse il diritto di soggiorno permanente ai casi conclamati. Casi che si sono dimostrati veri, con bambini e ragazzi che hanno vissuto in un letto anche per quattro anni, con gli occhi chiusi come se fossero morti.

Attualmente ci sono circa un centinaio di ragazzi a cui è stato diagnosticato la sindrome di rassegnazione, conferma il dottor Karl Sallin del Karolinska Institut di Stoccolma che abbiamo raggiunto al telefono. «Solo in alcuni gruppi di migranti si riscontrano quelle sintomatologie di coma» spiega Sallin, «le diverse culture e ambienti reagiscono a eventi traumatici con sintomi diversi, ce ne sono molti esempi».

Paura e panico serpeggia nelle comunità afghane dopo l’accordo dell’Unione europea con l’Afghanistan per rimpatriare i profughi in cambio di finanziamenti. In Svezia dallo scorso autunno almeno 68 minori non accompagnati hanno tentato il suicidio, riferisce il quotidiano svedese Aftonbladet, solo nelle ultime due settimane ci sono stati sette tentativi di suicidio di minori afghani, e quattro di questi sono riusciti.

La Svezia è stato il paese che nel 2015 ha accolto il numero più alto di migranti in Europa in relazione alla popolazione, 163 mila su 10 milioni di abitanti. Di questi 35 mila erano minori non accompagnati. Dal 2016 il governo ha inasprito le leggi in materia d’asilo, controllando anche con specifici test l’età dei minori: se sono sopra i 18 anni l’accoglienza è più facile, perché perdono i diritti e tutele maggiori dovuti per legge ai minori. E’ successo così a Ismat Sachi , un ragazzo di Kabul fuggito a15 anni da solo, attraversando Iran, Turchia tutta la rotta balcanica diretto verso nord. Già a 12 anni Ismat ha dovuto lavorare sostituendosi al padre tossicodipendente che in cambio lo bastonava. Una volta arrivato a Malmoe, dopo 4 mesi di viaggio, ha dichiarato di essere nato il 19 settembre 1999. Viene inserito in una struttura per minori a Fjallagarden dove per la prima volta in vita sua può rilassarsi: si è fatto molti amici, è felice di trovarsi in Svezia. Dura poco. Nell’agosto 2016 il consiglio migrazioni svedese decide di alzare di due anni l’età del ragazzo, che non ha documenti, e in più respinge la sua domanda di asilo.

Così di colpo il nuovo mondo sparisce, la scuola, gli amici, la cura. Viene trasferito in un altro posto, al Hotel Carl XII Dals-Ed per adulti, abbandonato a se stesso. Si ritira in camera, non va più a scuola, tenta il suicidio. Per tre volte. Alla terza volta, l’8 febbraio di quest’anno riesce a uccidersi.

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