A quanti si affannano a convincerci (non senza un interessato tornaconto) che occorrono nuove centrali nucleari per la produzione di quote sempre maggiori di energia, bisognerebbe replicare che una centrale atomica già ce l’abbiamo a disposizione: è a fusione, non emette radiazioni, non c’è rischio che esploda e continuerà a funzionare per migliaia se non per milioni di anni: è il Sole. Da cui tutto ha preso origine: la formazione della biosfera e, con essa, la nascita di qualsiasi forma vivente, specie umana inclusa. Ed è sempre per effetto del Sole che si originano i cicli biogeochimici: dell’azoto, del carbonio, dell’acqua e i movimenti del vento, oggi tutti minacciati dall’uso sempre crescente dei combustibili fossili, dallo sfruttamento delle acque, dalla deforestazione, dall’uso massiccio di pesticidi, dalla cementificazione, provocando l’aumento di temperatura per l’effetto serra.
A ricordarcelo è il nuovo libro di Federico Butera (Sole Vento Acqua, edito da manifestolibri, pp. 96, euro 10 – inaugura la collana, «Attenti ai dinosauri», diretta da Luciana Castellina), infaticabile divulgatore scientifico sin dagli anni Settanta quando altri ancora peroravano le magnifiche sorti e progressive dello Sviluppo. I libri di Butera hanno circolato nelle facoltà scientifiche e nei licei dimostrando (scientificamente) che la conversione ecologica (anzi biforcazione ecologica) è possibile e fattibile e, comunque, è l’unica alternativa per la sopravvivenza della nostra specie (e di molte altre).

IL VOLUME, sin dall’inizio, smaschera l’imbroglio insito nella visione della transizione ecologica, ovvero quello di perseverare nell’attuale modello di sviluppo semplicemente sostituendo alle tecnologie delle fonti fossili quelle delle rinnovabili, mantenendo, anzi rinforzando quel modello di crescita infinita della produzione e del consumo che ci ha condotto all’attuale situazione che si vuole combattere.
Il mantra  tecno-economico sostiene che si può continuare a crescere, basta riciclare i rifiuti (o addirittura bruciarli come nei cosiddetti termovalorizzatori) e ancora seppellire la CO2 prodotta. Altri falsi miti sono smascherati in questo agile testo; per esempio i reattori nucleari di IV generazione, che non esistono (il Superphoenix francese è stato dismesso nel 1997 in seguito a due incidenti). E a proposito dell’indipendenza energetica come potremmo mai, si chiede l’autore, essere indipendenti se non abbiamo miniere di uranio e se lo stesso uranio è un materiale in via di esaurimento?

L’attualità e originalità del libro consiste nel dimostrare, con ricchezza di dati, come l’Italia potrebbe arrivare a emissioni nette zero nel 2050 senza ricorrere né al nucleare né alla CCS, ovvero affrontando il tema delle «emissioni zero» in termini scientificamente ed eticamente più corretti. Il lavoro di Butera fornisce utili indicazioni (semmai inascoltate) ai nostri amministratori (e ai singoli cittadini): in primo luogo i consumi nel settore civile: le attuali città sono caratterizzate da una fitta distribuzione di negozi e attività varie di prossimità che rendono sempre più inutile l’auto di proprietà. Soluzioni già da ora possibili sono il noleggio o il car sharing. Questo comporta un disegno alternativo delle strutture urbane verso il modello della città dei 15 minuti che insieme all’uso dello smart working potrebbe portare ad una riduzione di ben oltre il 60% del parco macchine privato. Nel settore industriale si dovrebbe rafforzare la tendenza verso l’aumento della vita utile dei prodotti progettati in modo da essere durevoli, riparabili, riusabili, rigenerabili e, infine, riciclabili; inoltre occorre che siano progettati in modo da minimizzare la quantità di materiale necessario alla loro fabbricazione.

NELLE PRATICHE agroecologiche favorire la riduzione/eliminazione dei pesticidi, con conseguente positiva riduzione della perdita di biodiversità, . Il ritorno alla produzione agricola con pratiche virtuose dell’agroecologia, delle terre abbandonate perché non adatte alla agricoltura industriale, permetterebbe di aumentare la quantità di carbonio accumulato sia nelle piante sia nel suolo.
E poi il consumo di suolo: attualmente è di circa 60 chilometri quadrati l’anno (ovvero 15 ettari al giorno, o 2 metri quadri al secondo); nel 2020 il territorio nazionale aveva una copertura artificiale del 7,11%, contro una media UE del 4,2. Ma il compito della politica non si dovrebbe fermare qui poiché la conversione, o biforcazione ecologica, ha ricadute sull’occupazione, sugli stili di vita, sulla scala dei valori, sull’economia, sulla finanza. Insomma, tutt’altro che una semplice trasformazione tecnologica. Dunque privilegiare il riuso, la riparazione, la rigenerazione di un prodotto rispetto all’acquisto di uno nuovo buttando via il vecchio, implica adottare uno stile di vita sobrio. Infine l’espressione «transizione energetica» è impropria perché non rende il vero senso di ciò che ci aspetta. Perché la parola «transizione» ricorda un passaggio in continuità da uno stato a un altro, mentre invece occorre una profonda discontinuità. Si deve parlare, per dirla con Guido Viale, di conversione ecologica perché si abbandona un percorso per prenderne un altro.