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Il suo insegnamento è il valore fondante dell’uguaglianza

Il suo insegnamento è il valore fondante dell’uguaglianzaRossana Rossanda

Una grande storia Le leggi non scritte di Rossana, come spesso diceva, sono le tre parole della Rivoluzione francese, da lei concepite come tra loro strettamente connesse

Pubblicato circa 4 anni faEdizione del 24 settembre 2020

Con Rossana Rossanda scompare quella che, a mio parere, è stata la figura più originale e affascinante della sinistra italiana del dopoguerra. Quanti hanno avuto la fortuna di conoscerla non potevano non ammirarla: per la sua straordinaria intelligenza e cultura e per la sua passione politica autentica e contagiosa, per la sua sovrana indipendenza di giudizio e la sua capacità di ascolto delle ragioni altrui, per la sua generosità e per l’esempio di vita che ha offerto a più generazioni.

Rossana era marxista e comunista. Ma nello stesso tempo ha espresso, insieme al gruppo del Manifesto, la più rilevante eresia comunista che si sia avuta nel nostro paese. Ha sempre rivendicato con fierezza il suo comunismo, ma proprio in nome della sua idea di comunismo non poteva non essere radicalmente antistalinista e libertaria.

È stata drammaticamente consapevole del fallimento dei socialismi reali e proprio per questo si è impegnata nel ripensamento critico e autocritico del marxismo e del comunismo, all’insegna di una concezione alta della politica dalla parte degli oppressi. Ciò che del comunismo italiano difendeva, giustamente e con forza, era il ruolo storico di democratizzazione della società italiana e di educazione di masse enormi di persone ai valori civili della libertà, dell’uguaglianza e della solidarietà.

Ciò che del partito criticava, e che le costò la radiazione con l’accusa di “frazionismo”, era il dogmatismo teorico e la disciplina intellettuale e morale. Ma quella radiazione, dovuta al fatto che non volle piegarsi ai dettami del Pci, fu un segno di forza suo e dei suoi compagni e un segno di debolezza del partito, mostratosi incapace di tollerare il dissenso in omaggio all’assurdo centralismo democratico.

Rossana è stata anche rigorosamente garantista: perché il garantismo altro non è che la difesa di quelle leggi dei più deboli che sono le garanzie dei diritti fondamentali, tanto più necessarie e preziose quanto più, proprio in danno dei più deboli, vengono troppo spesso calpestate dalle leggi dei più forti. Ma proprio per questo non è mai stata legalitaria.

La figura della mitologia greca che più ha amato è stata Antigone, alla quale ha dedicato negli anni Ottanta uno splendido saggio e che volle, negli stessi anni, come nome della rivista dalla quale ha tratto origine l’attuale Associazione in difesa dei diritti degli imputati e dei detenuti.

Di Antigone, una figura non a caso di donna, Rossana segnala ed ammira quelle che sono state anche le sue personali virtù morali e politiche: l’autonomia, innanzitutto («autónomos, come colei che da sola si dà la sua legge: è così, ricorda, che «Antigone è definita dal Coro»); l’intransigenza morale e politica; la solidarietà affettiva e fraterna contro la freddezza delle leggi; la nobiltà della disobbedienza alla crudeltà del potere, anche a costo della vita; la difesa della persona nel conflitto tra individuo e istituzioni, che sempre è originato dall’ottusità dei governanti e legittimato dalle leggi non scritte della giustizia; la contestazione, infine, di qualunque potere politico che si pretenda assoluto e perciò la necessità di imporre «limiti al principio di autorità», quelli che oggi sono i limiti e i vincoli costituzionali.

«Come lei», come Antigone, scrive Rossana, «siamo determinati ad affermare, in solitudine, l’io, anche se il suo io non ha molto a che fare con il nostro. Ci uniscono il principio di autonomia e quello di disobbedienza… Così, in lei, siamo indotti a percepire il nocciolo dell’inalienabilità della persona».

Le leggi non scritte di Rossana, come spesso diceva, sono le tre parole della Rivoluzione francese, da lei concepite come tra loro strettamente connesse. Ma il valore fondamentale è sempre stato, per Rossana, l’uguaglianza.

È l’uguaglianza, diceva, cioè il principio del rispetto di tutte le differenze personali e della riduzione delle disuguaglianze economiche e materiali, il valore fondante di ogni politica di sinistra, la quale è tale solo se fa proprio il punto di vista degli sfruttati e dei discriminati, siano essi i lavoratori o le donne, i detenuti o i migranti, titolari, tutti, di diritti variamente violati o insoddisfatti.
È l’assunzione di questo punto di vista, cioè lo sguardo critico sulle ingiustizie sociali e il dovere politico e morale del loro superamento, l’insegnamento prezioso che Rossana lascia alla sinistra e a quanti hanno a cuore il futuro della democrazia.

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