L’Ungheria di Orbán non è stata invitata a partecipare al Summit per la Democrazia in programma dal 28 al 30 marzo. Il presidente statunitense Joe Biden non l’ha voluta né stavolta né nel dicembre del 2021al lancio dell’incontro. La decisione è motivata dalle precarie condizioni di salute dello Stato di diritto nel paese e dal posizionamento del governo di Budapest sulla scena internazionale. Posizionamento che vede Orbán e i suoi più vicini alla Russia e alla Cina che all’Ue e alla Nato.
Sul primo punto c’è abbondanza di argomenti specifici che vanno dal bavaglio alla stampa alle disposizioni che penalizzano la comunità Lgbtq+, passando per le politiche governative in tema di scuola, università, vita accademica, giustizia ecc.
È praticamente dal suo ritorno al potere che l’”uomo forte d’Ungheria” è impegnato in un durio faccia a faccia con l’Ue sulla questione dei diritti fondamentali. È noto che per questo Bruxelles ha congelato fondi che, per quanto ne dica il ministro degli Esteri ungherese Péter Szijjártó, sono molto importanti per il paese.

Già diversi anni fa l’opposizione socialista auspicava una concreta presa di posizione da parte dell’Ue e l’adozione di provvedimenti seri contro le politiche liberticide del governo arancione per aiutare il paese a dar luogo ad una svolta. Contemporaneamente, però, esprimeva preoccupazione per le conseguenze negative che una mancata erogazione dei fondi comunitari avrebbe determinato sulla popolazione. Del resto, il tema delle violazioni dello Stato di diritto da parte dell’esecutivo ungherese e di quello polacco, è da anni oggetto di un braccio di ferro fra i vertici Ue e i governi dei due paesi che accusano Bruxelles di effettuare attacchi unicamente politici nei loro confronti. Sempre Szijjártó ha detto di recente che il vero motivo del blocco dei fondi è che “a Bruxelles non piace il modo in cui governiamo il nostro paese e il fatto che rifiutiamo il federalismo e intendiamo aumentare le competenze nazionali”. E ancora: “siamo un governo cristiano, patriottico di destra che non piace affatto al mainstream europeo”.

Questi, secondo il capo della diplomazia ungherese, sono i veri motivi per cui “la tecnocrazia liberale” che sta ai vertici dell’Unione attacca Budapest e tutti i sostenitori del cosiddetto “sovranismo”; altro che diritti. È una storia lunga che si trascina pesantemente e che ha portato a una caricaturale ribalta europea quella che è nota come “democrazia illiberale” di Orbán.

In ambito internazionale non piace a Ue e Nato l’amicizia del governo ungherese con Mosca; quei buoni rapporti bilaterali che sono sfociati in accordi sul piano energetico e nell’adozione, in Ungheria, del vaccino anti-Covid russo, prima ancora che l’Ema si pronunciasse sul prodotto. Non piacciono la posizione assunta da Budapest nel frangente della guerra in Ucraina, le sue critiche alle sanzioni contro la Russia e il suo lungo temporeggiamento rispetto alla ratifica dell’adesione alla Nato di Svezia e Finlandia.

Infine, non è, chiaramente piaciuto il messaggio di Gergely Gulyás, capo di gabinetto di Orbán alla Corte Penale Internazionale; un messaggio che in sintesi dice: “non arresteremo Putin se questi dovesse entrare in Ungheria”. Il motivo è che lo Statuto della Corte Penale Internazionale non è stato integrato nell’ordinamento giuridico ungherese.

Per queste motivazioni di politica ungherese interna ed estera il paese, al pari della Turchia, non figura tra i 120 stati invitati alla tre giorni di cui sopra. In parte virtuale, in parte no, questo summit intende passare in rassegna i progressi compiuti sul solco degli impegni presi col vertice precedente e pianificare un’azione collettiva per far fronte alle nuove sfide da raccogliere in nome della democrazia.

In sé l’impegno per la democrazia non si discute, non sempre però il pulpito dal quale si predica a suo favore è dei migliori, e se si parla di guerre e di violazioni a livello internazionale, viene da dire che Usa e Nato non hanno dato esempi molto edificanti. Ma di questo, purtroppo, i loro vertici non risponderanno mai.