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«Il sole non consuma il suolo»

«Il sole non consuma il suolo»

Polemiche Le associazioni ambientaliste contestano un rapporto dell’Ispra che equipara il fotovoltaico al cemento: preserva la terra, non la distrugge

Pubblicato circa un anno faEdizione del 13 luglio 2023

Non si può considerare il fotovoltaico a terra come consumo di suolo pari alla cementificazione». Lo scrivono all’Ispra (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) diverse associazioni ambientaliste e delle rinnovabili in vista del prossimo rapporto sul consumo del suolo, atteso in autunno. Chiedono – sottolineando l’ormai irrinunciabile percorso verso la decarbonizzazione – una classificazione differente e l’inizio di dialogo e collaborazione.

A rivolgersi al presidente dell’Ispra, Stefano Laporta, e ai curatori del rapporto «Consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici» realizzato dal Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente (Snpa), sono Legambiente, Wwf, Greenpeace, Cittadini per l’Italia Rinnovabile, Ecofuturo, Kyoto Club, Ecolobby, Rinascimento Green, R’Innova Palermo, Comitato Scientifico Extinction Rebellion, Associazione Giga, Vas (Verdi Ambiente Società), Coordinamento Free e Italia Solare: «Il fotovoltaico a terra – spiegano – non produce alcuna impermeabilizzazione del suolo, né alcun impoverimento di nutrienti, humus, biodiversità. Non prevede l’impiego di cemento, non ha alcun impatto chimico né pregiudica, anche alla luce delle nuove opportunità garantite dall’agrivoltaico avanzato, l’utilizzo agricolo, anzi, è acclarato che consente il risparmio idrico e protegge gli insetti impollinatori dall’eccessiva insolazione. Occupa senz’altro territorio, ma non lo consuma, al contrario lo preserva, in diversi casi, da usi ben peggiori».

L’EDIZIONE 2022 del rapporto è stata la nona dedicata a questi temi e ha fornito un quadro aggiornato dei processi di trasformazione del territorio, che continuano a causare la perdita di una risorsa fondamentale come il suolo, con le sue funzioni e i relativi servizi ecosistemici. Il consumo del suolo nel 2021 ha ripreso a correre con maggiore forza, superando la soglia dei 2 metri quadrati al secondo e sfiorando i 70 chilometri quadrati di nuove coperture artificiali in un anno. Un ritmo insostenibile.

UN ASPETTO, PERÒ, HA FATTO storcere il naso agli ecologisti, ovvero che il peso del fotovoltaico fosse quantificato quanto quello del cemento: «Non ci sembra – scrivono – renda giustizia a un’analisi obiettiva della realtà sommare algebricamente territorio realmente impermeabilizzato dal cemento usato per parcheggi, immobili, strade e impianti industriali, che spesso lo inquinano anche, insieme a territorio che ospita strutture di produzione dell’energia che non lo impermeabilizzano, non lo inquinano e non lo depauperano biologicamente, oltre a essere fondamentali per la salvezza climatica e per l’approvvigionamento energetico di noi tutti».

ATTILIO PIATTELLI, presidente del Coordinamento Free, è tra i firmatari dell’appello e si occupa di fonti rinnovabili da quasi vent’anni: «Lo abbiamo lanciato non per polemica ma perché sappiamo che il rapporto sul consumo del suolo verrà aggiornato prossimamente e auspichiamo che si tenga conto di osservazioni oggettive sull’innegabile differenza di impatto sul territorio tra un parcheggio, una strada, un impianto industriale, un’abitazione e un impianto fotovoltaico, ancor più agrivoltaico ovvero che prevede la coesistenza di produzione energetica e di attività agricola. Non essendoci impermeabilizzazioni ed essendo strutture removibili non possono essere considerate responsabili di un degrado del suolo. Sarebbero, dunque, doverose in un prossimo rapporto diverse classificazioni, perché spesso si tende a dare una percezione negativa degli impianti fotovoltaici che sono, invece, la fonte principale della decarbonizzazione. E hanno permesso ad abbassare il prezzo dell’energia. Certo, vanno progettati correttamente e in zone idonee».

LA LETTERA INVIATA ALL’ISPRA riporta ancora: «Notiamo anche che un passaggio del vostro documento suggerisce che si possa fare a meno del fotovoltaico a terra, in quanto basterebbe coprire tutti i tetti e le aree già impermeabilizzate, per soddisfare il fabbisogno da energia rinnovabile. Anche questo punto non risponde al vero, infatti, se si considera il fabbisogno non solo elettrico, ma la necessità, entro il 2050, di decarbonizzare tutto il fabbisogno energetico del Paese, la domanda di rinnovabili è ben maggiore di quella elettrica e l’impiego della sola superficie dei tetti non è certamente sufficiente. Nel vostro rapporto si parla della possibilità di raggiungere dai 70 ai 92 Gw di nuova potenza fotovoltaica, utilizzando le coperture: è una stima che pensiamo possa essere realistica, anche se diversa da quella del vigente Pniec (Piano Energia e Clima), ma in ogni caso la necessità di nuovo fotovoltaico per la decarbonizzazione completa del sistema energetico (non solo elettrico) italiano al 2050 è più che tripla, rispetto a questa cifra (Rse, e Mase, strategia di lungo termine)».

PER GIANNI SILVESTRINI, direttore scientifico di Kyoto Club, è importante trovare un equilibrio: «Tra gli impianti sugli edifici, che devono comunque avere la priorità, e quelli a terra. Questo è fondamentale per raggiungere l’obiettivo di neutralità climatica fissato dall’Ue per il 2050, tendendo conto che la domanda di energia raddoppierà. Il Pniec prevede di raggiungere nel 2030 il 65% dei consumi di elettricità tramite energie rinnovabili. Siamo indietro e sarebbe importante una riflessione sulla ripartizione tra impianti a terra, per i quali si potrebbe introdurre un limite relativo alla potenza, e quelli sugli edifici. Il decreto del Pnrr sull’agrivoltaico dà un impulso favorevole e potrebbe essere una soluzione transitoria anche per l’Emilia Romagna post alluvione: produrre energia pulita e garantire produzione ortifrutticola». Un incontro tra i promotori dell’appello e Ispra potrebbe avvenire a breve.

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