Continuano le accuse del governo ungherese e degli ambienti a esso contigui contro l’Ue per la posizione di quest’ultima rispetto al conflitto in Ucraina. Di recente Tamás Fricz, noto analista di sentimenti inequivocabilmente filogovernativi, si è espresso sul tema in un’intervista concessa al giornale online Mandiner. In essa ha affermato che “l’Unione europea è ormai quasi una partecipante attiva al fianco dell’Ucraina nel conflitto armato in corso”. Ha poi aggiunto: “Bruxelles vuole il prosieguo della guerra, e questo potrebbe portare a una rottura fra l’Ungheria e l’Ue”.

Le opinioni di Fricz sulle questioni europee sono in linea con quelle del primo ministro ungherese Viktor Orbán: a suo parere l’Ue, nella sua forma attuale, andrebbe sciolta in quanto è giunta alla bancarotta e “marcisce”. L’analista ritiene che occorrerebbe rifondarla attraverso un processo di riforme radicali volto alla ricerca di una nuova forma di collaborazione pragmatica e distesa fra stati sovrani. Fricz ha così precisato che “La nuova Unione dovrebbe basarsi su un sistema decisionale che faccia capo agli stati nazionali e non su quello attuale basato sulle decisioni arbitrarie della Commissione europea”.

Tali affermazioni non fanno altro che confermare, ancora una volta, il rapporto conflittuale esistente fra Budapest e Bruxelles. Va sempre precisato che una parte di paese, quella che non si colloca entro l’orizzonte politico disegnato dal sistema-Orbán, vorrebbe che questo rapporto fosse diverso, senz’altro improntato alla collaborazione con l’Ue secondo i principi democratici europei.

Di fatto, i motivi di queste frizioni non sono certo una novità e appartengono alla fase storica che vede l’Ungheria guidata dall’attuale premier. Una storia iniziata quasi tredici anni fa. Uno di questi motivi ha a che vedere con la questione riguardante i fondi comunitari che per l’esecutivo di Budapest rappresentano uno strumento di ricatto da parte di Bruxelles. Così, quindi, secondo Tamás Fricz il congelamento di questi fondi a danno dell’Ungheria rappresenta “una manomissione sconcertante del diritto”. La conclusione dell’analista è che “non ha molto senso per il paese restare nell’Ue attuale”.

Questi argomenti erano stato anticipati dalla conferenza stampa annuale tenuta da Orbán a fine dicembre. Oltre ad aver ribadito la sua volontà di tenere l’Ungheria fuori dalla guerra, ossia da quella che a suo avviso non deve riguardare il paese, si era espresso sulla questione dei fondi criticando il meccanismo di condizionalità. Il premier ritiene che prima o poi l’Ungheria otterrà i fondi di coesione che le spettano e che il meccanismo prima menzionato è “sbagliato e destinato a disintegrare l’Unione”.

Secondo Orbán “non esiste una definizione unanime dello Stato di diritto”, esisterebbe piuttosto un sentimento di “ungarofobia” nel Parlamento europeo. Per il primo ministro ungherese il medesimo dovrebbe essere sciolto e sostituito da un’assemblea di delegati dei parlamenti nazionali. Lo scandalo di corruzione avvenuto nel Parlamento europeo è un fatto che – dice – “avvalora questa tesi”.

Per il resto il suo partito Fidesz chiarisce di non voler tornare nel Partito Popolare Europeo ma di essere intento a cercare altri alleati all’interno della destra europea. Diversi gli intenti del neonato “Partito Popolare per l’Ungheria di Tutti” fondato da Péter Márki-Zay (centro-destra), il candidato dell’Alleanza Democratica sconfitta in modo schiacciante alle elezioni dello scorso aprile e scioltasi dopo tale pesante insuccesso elettorale.

Questo nuovo partito vuole ottenere un seggio alle europee del 2024 ed entrare nel PPE. Alcuni analisti nutrono dubbi circa la presa di questo partito sull’elettorato e non lo ritengono capace di offrire un’alternativa valida al sistema-Orbán. Gli stessi, quindi, descrivono un’opposizione ancora in alto mare e non all’altezza di concepire una svolta concreta per il paese.