Il «serpente» incriminato. La Nato tace
La storia La Corte dell’Aja conferma le accuse di crimini di guerra e contro l’umanità per il presidente del Kosovo Hashim Thaqi, che si dimette. Venne legittimato dalla guerra «umanitaria» del 1999
La storia La Corte dell’Aja conferma le accuse di crimini di guerra e contro l’umanità per il presidente del Kosovo Hashim Thaqi, che si dimette. Venne legittimato dalla guerra «umanitaria» del 1999
Era il 29 aprile 1999 quando il manifesto pubblicava una prima pagina bianca con in calce una frase: i bambini non ci guardano. Le bombe della Nato piovevano dai cieli della Serbia da poco più di un mese. Era la denuncia forte e solitaria pensata da Luigi Pintor contro una guerra mascherata da intervento umanitario – con tanti«effetti collaterali» vale a dire stragi di civili – che avrebbe segnato la storia degli Stati sorti dalle ceneri dell’ex Jugoslavia.
IERI DOPO PIÙ di vent’anni su quella pagina bianca è stata scritta una parola a lungo invocata: giustizia. Giustizia per i crimini di guerra e contro l’umanità di cui è accusato il presidente del Kosovo ed ex comandante dell’Esercito di Liberazione Nazionale (Uck) Hashim Thaqi (Il Serpente). La Corte speciale istituita per indagare i crimini commessi dall’Uck durante e dopo il conflitto del 1999 ha infatti confermato le accuse a suo carico: omicidi, sparizione forzata di persone, persecuzione e tortura, crimini perpetrati contro oppositori politici, albanesi kosovari, serbi, rom e di altre etnie.
A DARE NOTIZIA della conferma dell’incriminazione all’Aja è stato lo stesso Thaqi che in una breve conferenza stampa ha poi annunciato le dimissioni con effetto immediato e invitato i cittadini a mantenere la calma e a non rispondere a eventuali provocazioni. Sempre nella mattinata di ieri era arrivata la conferma dell’incriminazione del braccio destro di Thaqi, Kadri Veseli, ex presidente del parlamento del Kosovo, che ha rassegnato le dimissioni dalla carica di presidente del Pdk, il principale partito d’opposizione nel Paese. Nel pomeriggio Thaqi e Veseli sono stati trasferiti all’Aja con un aereo speciale decollato dall’aeroporto internazionale di Pristina.
A INCHIODARE le due personalità politiche più rilevanti della storia recente del Kosovo era stato il rapporto redatto nel 2011 dal senatore svizzero Dick Marty su mandato del Consiglio d’Europa. Il rapporto risultato di due anni di indagini, indicava il padrino del gruppo di Drenica, così veniva chiamato Thaqi nel rapporto, ed altri ex guerriglieri dell’Uck quali responsabili o mandanti di «una serie di omicidi, incarcerazioni, aggressioni e interrogatori in diverse regioni del Kosovo e nello specifico (…) durante le operazioni condotte dall’Uck in territorio albanese negli anni 1998-2000». Tra le accuse più gravi, anche quella di traffico di organi che passava dalla clinica di Fushe Kruje, la cosiddetta «casa gialla», in Albania, una storia denunciata precedentemente anche da Carla del Ponte, la ex procuratrice del Tribunale internazionale per l’ex Jugoslavia nel suo importante libro di denuncia La caccia. Io e i criminali di guerra.
DA ALLORA ne è passata di acqua sotto i ponti e ciò che prima sembrava impensabile, ora non lo è più. Nell’ultimo anno si è assistito a un’accelerazione delle indagini da parte della Corte speciale che ha portato all’incriminazione di diversi ex guerriglieri dell’Uck, tra cui Sali Mustafa, ex capo dei servizi segreti del Kosovo, Jakup Krasniqi e Rexhep Selhimi, questi ultimi due arrestati mercoledì a Pristina e trasferiti all’Aja.
EPPURE L’OPERATO del Tribunale speciale rischia di essere invalidato dalle intimidazioni verso i testimoni, come già accaduto in passato e come lascerebbe intendere la fuga di notizie riservate avvenuta a inizi settembre. Quattromila documenti riservati della Corte sono stati infatti recapitati all’associazione dei veterani dell’Uck, fascicoli contenenti tra l’altro anche i nomi dei testimoni protetti. Un attacco alla Corte che ha portato all’arresto di Hysni Gucati e Nasim Haradinaj, rispettivamente presidente e vicepresidente dell’associazione dei veterani di guerra dell’Uck, che dovranno rispondere di reati contro la giustizia. La stessa Corte poi ha denunciato a più riprese la «campagna segreta» condotta da Thaqi e Veseli per sabotarne il lavoro e assicurarsi così l’impunità, non ultimo il tentativo delle settimane scorse del presidente del Kosovo di emendare la legge che istituisce il Tribunale.
ANCOR PIÙ SPINOSI sono i risvolti politici della vicenda giudiziaria. È come se ci si trovasse di fronte a un cortocircuito della Storia con un’Europa che in parte ha partecipato a quella guerra sciagurata e che oggi invece smentisce il proprio passato affermando il pieno sostegno al Tribunale e dicendosi soddisfatta del fatto che Thaqi abbia accettato di cooperare con la giustizia. Quella stessa Europa che oggi chiede a un Kosovo sempre più isolato di scendere a compromessi con la Serbia, imponendogli l’istituzione dell’associazione dei comuni a maggioranza serba, finora rimasta lettera morta per il timore delle autorità di Pristina che vedono in quel compromesso un cavallo di Troia del nemico serbo per rendere ingovernabile il Paese.
E COSA DIRE dell’Alleanza atlantica che proprio con la guerra in Kosovo ha mutato pelle proprio durante i radi «umanitari» trasformandosi da alleanza difensiva a potenza offensiva, e che ora rischia sempre nei Balcani di mostrare la profondità della crisi che sta attraversando. E che dire degli Usa, che in Kosovo hanno edificato la più grande base militare d’Europa a Camp Bondsteel, e che con tutti i presidenti degli ultimi 20 anni ha sostenuto l’indipendenza del Kosovo e legittimato Hashim Thaqi. Intanto la pax americana auspicata da Trump negli anni della sua amministrazione è naufragata miseramente e ha contribuito al contrario ad esacerbare ancora di più tensioni mai sopite nell’area, ridando fiato e lustro a nazionalismi che ci illudevamo di vedere sepolti.
Leggi il commento scritto dal co-direttore del manifesto Tommaso Di Francesco quando Hashim Thaqi è stato incriminato la prima volta dalla Corte dell’Aja: Uno scheletro nell’armadio della Nato (26.06.2020)
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