Il Senato ha votato la fiducia al governo sul decreto Ucraina: con 214 voti favorevoli e 35 contrari la maggioranza sembrerebbe aver ritrovato la sintesi. In effetti, il testo sfrondato dall’ordine del giorno sulle spese militari viene accolto da tutte le forze che sostengono Draghi. E però la strada che ha condotto a questa approvazione, e le tensioni attorno alla soglia da raggiungere del 2% del Pil per gli investimenti per la difesa, avranno degli strascichi.

A CAUSA della rigidità di Palazzo Chigi e della stizza dal Partito democratico, questo conflitto ha assunto toni del tutto sproporzionati rispetto al merito della questione (e alla soluzione, davvero dietro l’angolo delle polemiche incrociate). Per di più, in questo contesto, Giuseppe Conte ha trovato un nuovo passo. Dalle stanze del Movimento 5 Stelle raccontano che appena l’avvocato si è accorto della discrepanza tra i sondaggi d’opinione sulle armi e le posizioni delle forze parlamentari ha deciso che c’era un sostanzioso pezzo del paese cui dare voce. Di fronte a Draghi che rifiutava ogni scostamento di bilancio ma prometteva di accelerare sulle spese militari il leader del M5S ha messo sull’altro piatto della bilancia «i bisogni del paese». «Ci siano dimenticati della transizione energetica, di quella ecologica e della giustizia sociale – ha spiegato dopo la fiducia – È solo per queste ragioni che un esponente autorevole di Fratelli d’Italia si può permettere di alzare il dito e dire di usare le risorse reddito di cittadinanza. Non ho ancora sentito Renzi ma mi aspetto anche da lui una genialità di questo tipo. È ovvio che le industrie e gli apparati legati a queste industrie spingono per maggiori investimenti». Su questo, e sulla richiesta del M5S di un tavolo di maggioranza che decida come spalmare nel corso degli anni le spese militari, Draghi dovrà esprimersi.

DOPO AVER rivendicato di aver rotto il «dogma del 2024», Conte è salito al Quirinale. Era di fatto stato convocato da Sergio Mattarella mercoledì, quando i due si erano sentiti al telefono. Il presidente della Repubblica ha chiesto e ottenuto rassicurazioni sulla tenuta del governo. Conte ha poi fornito pubblicamente altri due chiarimenti. Il primo, sulla collocazione internazionale. «Il M5S ha condannato fin da subito l’invasione di Putin e ha dichiarato fin da subito di essere d’accordo con gli aiuti economici e militari all’Ucraina», ha rivendicato l’ex premier. Il secondo, sull’alleanza col Pd. «Va avanti da tempo, abbiamo lavorato insieme e sperimentato un pacchetto importante di riforme – ha assicurato – È chiaro, però, che io pretendo rispetto e dignità».

IL TEMA DEL rapporto col Pd è tuttavia in evoluzione. Conte non ha nessuna intenzione di rompere, ma per la prima volta dice, rischiando di avallare le critiche sulle incertezze del passato recente: «Non siamo la succursale di un’altra forza politica». Il punto è che la strategia di questi giorni ai suoi occhi ha pagato. Forse per la prima volta, è la valutazione che circola tra i suoi, si è parlato del leader dei 5 Stelle senza tirare in mezzo divisioni interne o beghe di carattere legale. In tutto ciò, è riuscito a mettere all’angolo i moderati vicini a Luigi Di Maio, che hanno smesso di dare le carte e rappresentare il punto di mediazione con il Pd e il resto della coalizione, e a smentire i nostalgici delle origini, come dimostrano i pochi dissidenti (a parte Vito Petrocelli, solo un pugno di senatori ha scelto di non essere in aula).

A FINE GIORNATA, l’avvocato ha convocato il Consiglio nazionale del Movimento 5 Stelle, di cui fanno parte i capigruppo, i responsabili delle quattro principali aree tematiche, il capodelegazione al governo e quello in Europa. A loro ha rappresentato il suo attivismo di questi giorni e trasmesso il senso di queste giornate: il M5S deve servire a qualcosa e non limitarsi a essere al seguito degli alleati. È il segno che si sta entrando in una nuova fase del rapporto tra le forze del centrosinistra. Per Conte non sarà semplice mantenere l’equilibrio dell’alleanza e intanto continuare a pungolare il governo. Per il Pd di Letta sarà una sfida inedita.