Europa

Il semestre nero di Orbán: obiettivo il “modello Meloni”

Il semestre nero  di Orbán: obiettivo  il “modello Meloni”

Show del premier ungherese a Strasburgo: «Sui migranti alla fine ci sarà un accordo tra stati a favore degli hotspot»

Pubblicato 27 giorni faEdizione del 9 ottobre 2024

Due sondaggi Eurobarometro pubblicati ieri rilevano che i cittadini e le imprese europee aumentano, rispetto al 2018, il sostegno a Schengen, gli accordi intergovernativi sulla libera circolazione: il 63% degli abitanti dei 29 paesi dello “spazio” (che va al di là dei membri Ue) ha come priorità una maggiore “cooperazione” tra gli stati e l’83% delle imprese ritiene che Schengen è «buono per gli affari», un terzo considera che l’abolizione dei controlli alle frontiere ha abbassato i costi. Eppure la narrazione che pretende di essere dominante in Europa racconta il contrario.

UN ESEMPIO si è avuto ieri, con Viktor Orbán, a una prima presentazione, di fronte alla stampa, dei contenuti del semestre di presidenza ungherese del Consiglio, che dura fino al 31 dicembre e che oggi il primo ministro, il cui partito è membro del gruppo estremista dei Patrioti per l’Europa, preciserà di fronte all’Europarlamento. Per l’occasione sono attese contestazioni, soprattutto da parte dei Verdi, sulla legittimità di un intervento da parte di un primo ministro sospettato di leggerezze nell’utilizzazione dei fondi europei, ci sono documenti di Transparency International che chiedono: dove sono i nostri soldi, mr. Orbán?. «Venite a me» ha detto Orbán, che si presenta come «un leader forte» di cui c’è bisogno «quando siamo in difficoltà», oggi più che nel 2011, la data della prima presidenza ungherese del Consiglio (Orbán era già ai comandi).

Per Orbán nella Ue c’è un «bagno di sangue» nel dibattito sull’immigrazione. «Dal 2015 dico la stessa cosa: possiamo provare ogni tipo di Patto ma c’è una sola strada per controllare l’immigrazione, gli hotspot esterni. Fino a quando non ci mettiamo d’accordo che chi può entrare nella Ue deve fermarsi ai confini esterni europei finché la domanda viene accettata, non fermeremo mai l’immigrazione». Orbán insiste: se entrano grazie all’asilo, «non se ne andranno mai», e trasformandosi in Monsieur de Lapalisse afferma che «gli unici migranti che restano fuori sono quelli che non lasciamo entrare». Si lamenta: «Per questo mi hanno dato dell’idiota dal 2015» e avanza la sua proposta: «Alla fine ci sarà un accordo tra stati a favore degli hotspots».

È IL “MODELLO MELONI” in Albania, già preceduto da accordi finanziari tra la Ue e vari stati, dalla Turchia alla Tunisia e all’Egitto, pagati per trattenere i migranti. L’Ungheria ha chiesto a Bruxelles un opt out sull’accordo “Asilo e Immigrazione” raggiunto di recente dalla Ue (anche per evitare le multe, per “non protezione” internazionale, una condanna della Corte europea di giustizia a giugno di 200 milioni di euro più un milione al giorno).

Budapest segue l’Olanda, che dopo le ultime elezioni, che hanno visto la vittoria dell’estrema destra, ha fatto la prima mossa in questo senso. L’Austria si prepara a fare la stessa cosa. Vienna, L’Aja e altri 15 paesi chiedono di rivedere la direttiva Eu Returns, per facilitare le deportazioni. Il draft delle conclusioni del prossimo Consiglio europeo del 17-18 ottobre contiene pressioni degli stati sulla Commissione perché acceleri sulle norme per permettere le deportazioni verso paesi terzi “sicuri”.

GIÀ SCHENGEN è messo male: la Germania ha sospeso l’applicazione delle libera circolazione il 16 settembre (a causa di elezioni difficili per l’Spd e in seguito all’attacco di Solingen), ormai otto paesi hanno messo tra parentesi gli accordi (Francia, Italia, Austria, Norvegia, Slovenia, Svezia, e anche la Danimarca, che ha un governo a guida socialdemocratica, ma solo per la frontiera con la Germania). In Francia, con il nuovo governo di Michel Barnier si prepara un ulteriore giro di vite: il ministro degli Interni, Bruno Retailleau, ultra cattolico molto a destra, parla di «disordine migratorio» e annuncia controlli alle frontiere e espulsioni rapide. Eppure, dall’iniizio di quest’anno in Europa le entrate irregolari sono diminuite del 39% (140mila persone, su una popolazione di 450 milioni di abitanti). In un numero sempre maggiore di paesi, sale la pressione per imporre che il diritto nazionale abbia la meglio sul diritto comunitario in materia di immigrazione.

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