Il risveglio della «quarta potenza mondiale»
Manifestazione contro la guerra, Roma – LaPresse
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Il risveglio della «quarta potenza mondiale»

In movimento Dopo 30 anni abbiamo rivisto nel mondo centinaia di migliaia di persone invocare la pace. Con il coraggio dei pacifisti russi che rischiano ogni volta la galera
Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 3 marzo 2022

Trent’anni fa, dopo l’attacco dell’11 settembre e la risposta degli Stati uniti, e quindi della Nato, nacque nel mondo un vasto movimento pacifista con milioni di persone, in prevalenza giovani, che scesero in piazza per urlare contro l’invasione dell’Afghanistan e poi dell’Iraq.

L’attacco all’Afghanistan veniva giustificato con la presenza di Osama bin Laden, arrivando a bombardare ed occupare un intero paese per colpire il capo del movimento del gruppo terrorista che aveva organizzato l’attentato alle torri gemelle. Era come, scrissi allora su questo giornale, se si voleva prendere Totò Riina ed i suoi adepti mafiosi bombardando le province di Trapani e Palermo.

La seconda guerra della Nato, o della Grande Alleanza, contro l’Iraq di Saddam Hussein fu giustificata con le armi di distruzione di massa da lui possedute e portarono alla rovina un intero paese e la sua popolazione ( poi si è scoperto che era tutta una invenzione!).  Nel 2003, contro questa seconda guerra del Golfo (la prima era stata nel 1991) ci sono state centinaia di manifestazioni per la pace in tutto il mondo, così partecipate e coinvolgenti da far definire questo movimento addirittura come «la quarta potenza mondiale».

È indimenticabile l’immagine dell’Italia con milioni di bandiere della pace sulle case che sporgevano dai balconi, dalle terrazze, dalle finestre, nelle grandi città quanto nei paesini, da Nord a Sud, un paese unito nel segno della pace. Tutto inutile. La volontà del governo statunitense e dei sudditi portò avanti una guerra assurda e distruttiva: oltre 300.000 morti iracheni, milioni di feriti, enormi danni ecologici. Da quel momento il movimento pacifista si è inabissato. Spento.

Ci sono voluti quasi trent’anni per rivedere oggi in varie parti del mondo centinaia di migliaia di persone invocare la pace. Ma, attenzione. C’è una bella differenza tra i pacifisti russi che scendono in piazza rischiando la galera e, alle volte, la vita, e quelli nel mondo occidentale. E c’è ancora una differenza più grande tra chi parla di pace e poi invia le armi agli ucraini per difendersi dall’attacco sovietico. Insomma, una sorta di «armiamoci e partite».

Al di là di tutto ci si rende conto che questo invio di armi da parte dei paesi Ue all’Ucraina provoca e legittima Putin ad alzare il livello dello scontro? Non si sfida Putin sul suo terreno, altrimenti gli si dà la giustificazione per aumentare la sua potenza di fuoco, per colpire i civili indiscriminatamente. È invece sul piano economico che queste sanzioni lo stanno mettendo in ginocchio, con una rivolta che sta montando sia da parte degli oligarchi che della popolazione russa che ben presto soffrirà la fame e la disoccupazione di massa. Bisognava dare ragione a Biden quando affermava, la scorsa settimana, che l’alternativa alle sanzioni è la terza guerra mondiale. Tertium non datur.

Così come quando si parla di solidarietà ed accoglienza non si può che essere contenti della risposta dei governi europei rispetto ai profughi di guerra ucraini, ma non possiamo anche in questo caso non porci delle domande. Perché la stessa disponibilità non c’è stata rispetto ai profughi di guerra siriani (oltre sette milioni sono scappati dalla Siria) o afghani o yemeniti o africani? Mentre, l’Ue è così aperta e generosa con gli ucraini, e ribadisco che ne siamo contenti, paga il sultano Erdogan per mantenere in un campo di concentramento milioni di rifugiati e profughi. O la Polonia, l’Ungheria, la Croazia, la Grecia, fanno bastonare queste persone dalla polizia e stendono muri e filo spinato per impedire il passaggio nel proprio territorio. È un problema di colore della pelle?

Tutto questo per dire che siamo ben lieti che ci sia un risveglio del movimento per la pace e che speriamo che la manifestazione di Roma di sabato prossimo, convocata dalla Rete italiana Pace e Disarmo, registri una grande partecipazione. La qualità dell’appello di convocazione della manifestazione, in cui si dice chiaramente che «dall’Italia e dall’Europa devono arrivare soluzioni politiche non aiuti militari» fa ben sperare.

Quello che l’esperienza decennale ci ha insegnato è che il cammino della pace è estremamente lungo e difficoltoso e può dare frutti solo se c’è la costanza dell’impegno e la determinazione ad andare avanti nella campagna per il disarmo. Nei lontani anni ’70 c’era una parte del sindacato (i metalmeccanici della Flm in Italia) che si batteva in vari paesi europei, a partire dal Regno Unito, per la conversione dell’industria bellica. E da quelle lotte che bisognerebbe ripartire perché il rischio più grande a cui andiamo incontro è quello della corsa agli armamenti.

In nome della difesa dal nuovo satana, ci sarà una crescita spaventosa della spesa militare in tutti i paesi europei con grande soddisfazione dell’industria bellica statunitense, primo beneficiario. Dopo il riarmo del Giappone, che ha dovuto modificare la propria costituzione, adesso anche la Germania sembra aver scelto la stessa strada, malgrado la coalizione semaforo che la governa e, soprattutto, la sua Costituzione. La sfida della pace è ardua ma imprescindibile se vogliamo salvarci dalla catastrofe finale.

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