Il repulisti di Kiev di partiti e voci «filo russe»
Il presidente ucraino Zelensky
Internazionale

Il repulisti di Kiev di partiti e voci «filo russe»

Crisi ucraina Il leader di uno dei partiti russi messi al bando è sparito il 27 febbraio. Stretta anche sui canali televisivi. «Notizie unificate»: un solo network per «informare»
Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 22 marzo 2022

Le circostanze della guerra stanno spingendo il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, su posizioni radicali nei confronti del dissenso. Nel fine settimana ha fatto sapere al paese attraverso il suo canale Telegram che avrebbe messo al bando in via temporanea undici fra movimenti e partiti, praticamente metà dell’arco politico, dal centro all’estrema sinistra.

Il motivo della scelta sta nei «rapporti con la Russia» di queste organizzazioni: «Qualsiasi azione per separarci fallirà, e sarà punita con estrema durezza», ha detto Zelensky in un videomessaggio. Fanno parte dell’elenco il Partito di opposizione – Per la vita; il Partito Shariy; il Blocco di opposizione; il Nashi; Opposizione di sinistra; l’Unione delle forze di sinistra; lo Stato; il Partito socialista progressista dell’Ucraina; il Partito socialista dell’Ucraina; il Partito socialista; e, infine, il Blocco Volodymr Saldo.

Insieme rappresentano una buona parte di quei cittadini che si sono opposti alle iniziative nazionaliste intraprese in Ucraina nel corso dell’ultimo decennio. I più pesanti sono il Blocco di opposizione, considerato il successore del Partito delle Regioni dell’ex presidente Viktor Yanukovich, liquidato assieme al suo vecchio establishment dalla rivolta del 2014, nonché il Partito di opposizione – Per la vita, che ha una quarantina di parlamentari alla Rada e incarna le richieste della minoranza russofona.

Le vicende di quest’ultimo sono particolarmente delicate. Il leader si chiama Yuri Boyko, ha 64 anni, e ha ricoperto diversi incarichi di governo con i premier Yanukovich e Mykola Azarov. Boyko ha assunto il pieno controllo del partito all’inizio di marzo, dopo avere escluso anche formalmente da qualsiasi incarico il suo superiore, Viktor Medvedchuk. Molto si è scritto in queste settimane su Medvedchuk e sulle sue relazioni con il presidente russo, Putin. Quelle relazioni gli sono costate gli arresti domiciliari un anno fa con l’accusa di tradimento.

Come dire: l’attenzione delle autorità nei confronti del gruppo era alta ben prima che le tensioni con Mosca passassero dal piano diplomatico a quello bellico. Il quadro, già complesso, si è fatto ancora più difficile con l’inizio delle operazioni militari. Secondo l’intelligence americana Medvedchuk avrebbe potuto prendere la guida del paese per conto del Cremlino nel caso in cui i russi fossero riusciti a rovesciare Zelensky. Non sappiamo se il piano esista davvero. Per ora Zelensky ha resistito a qualsiasi forma di intimidazione, compresi tre tentativi di eliminarlo fisicamente sventati dal suo servizio di sicurezza.

Quel che è certo è che Medvedchuk è scomparso nel nulla il 27 febbraio, e quindi tre giorni dopo l’inizio dell’invasione. Dove si trova in questo momento? Per alcuni è riuscito a fuggire durante l’evacuazione da Kiev. Per altri è stato «trasferito» in un luogo sicuro. Un luogo di cui, tuttavia, nessuno sa dire alcunché. Non bisogna dimenticare che la criminalizzazione degli oppositori è una pratica diffusa in Ucraina.

Nel 2011 l’ex premier Yuliya Timoshenko ha ricevuto una condanna a sette anni di carcere per un accordo sul gas firmato con Putin. Allora il presidente era Yanukovich. Ne ha scontati tre, nonostante le proteste degli Usa e dell’Unione europea. Soltanto la fuga di Yanukovich nel 2014 le ha permesso di tornare in libertà.

La sola differenza con il caso Medvedchuk è che quest’ultimo ha sollevato zero indignazione in Europa. Per il resto si tratta di due storie molto simili. Il giornalista Anatoly Shariy, a capo dell’omonimo partito, fra quelli messi al bando da Zelensky, ha denunciato giorni fa le «azioni criminali dell’Sbu», ovvero dei servizi segreti, che il presidente ha affidato a dicembre ad Aleksander Poklad, conosciuto come «lo strangolatore di Kremenchuk».

Secondo Shariy l’Sbu «sta facendo scomparire chiunque abbia espresso la minima critica al governo: l’offensiva russa è soltanto un pretesto per portare a termine altri obiettivi». Il decreto firmato nel fine settimana non riguarda soltanto i partiti politici, ma anche i canali televisivi. Già a febbraio aveva censurato tre emittenti accusate di essere «filorusse». Adesso ha deciso di fondere quel che è rimasto in un solo network. Dovrebbe essere chiamato «Notizie unificate». Fornirà «informazioni e analisi». Si tratta in fin dei conti di un atteggiamento non troppo lontano da quello adottato in Russia.

Proprio ieri il tribunale di Mosca ha deciso di inserire Meta, il marchio che controlla Facebook e Instagram, nella lista delle organizzazioni terroristiche assieme per esempio a Isis e Pravy Sektor. Facebook ha sette milioni e mezzo di utenti nel paese. Nei fatti il social network è già bloccato dal alcune settimane e si può raggiungere soltanto attraverso servizi vpn.

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