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Il regno del filo spinato

Il regno del filo spinato

Reportage Il Marocco si conferma il migliore gendarme d’Europa in quanto a controllo e repressione dei flussi migratori. E per i subsahariani nulla è cambiato dopo la strage di Ceuta e Melilla

Pubblicato circa un anno faEdizione del 10 ottobre 2023

Saad é arrivato in Marocco che aveva 14 anni. Capelli corti, occhi nerissimi e profondi. Ora ne ha 21. Sono otto anni che cerca di scavalcare «il grillage», la doppia barriera di metallo e filo spinato che circonda la città di Ceuta, enclave spagnola in terra marocchina. La sua casa è un giaciglio ben nascosto tra gli arbusti che circondano Fnideq, la città marocchina che sorge accanto alla frontiera. Sono in sette ora a nascondersi lì.

BAKHIT L’HANNO PRESO la sera prima, mentre si avvicinava alla barriera per tentare ancora di raggiungere la Spagna; ma sono qualche centinaio i migranti subsahariani e sudanesi che abitano quei monti, nelle difficoltà quotidiane di trovare cibo, acqua, medicine.

«Di giorno, bisogna nascondersi. La polizia fa spesso incursioni nei boschi per arrestare le persone e mandarle lontano, verso sud» dice D., sudanese, del Darfur, le gambe piene di ferite infette, il risultato di fughe dalla polizia. «Di solito vengono la mattina molto presto, o il pomeriggio, ma anche due volte al giorno. Cercano coi cani, distruggono gli accampamenti e chi prendono lo deportano verso Tiznit, Agadir, Casablanca». Anche Bakhit è stato portato verso sud. Dovrà ritrovare dei soldi per pagarsi il viaggio e risalire le centinaia di chilometri che ora lo separano dal confine, nell’eterno gioco dell’oca a cui sono condannati i migranti in Marocco.
Ceuta, come Melilla, sono sempre state la speranza di migliaia dei migranti che sognano l’Europa. Le barriere di entrambe le città spagnole sono state alzate nel corso degli anni, arrivando a 6 metri di altezza e dotate di telecamere, sensori di movimento, filo spinato e torrette di osservazione per le centinaia di guardie di frontiera che le sorvegliano giorno e notte. I finanziamenti, quasi tutti europei.

LE FRONTIERE TERRESTRI verso la Spagna, l’unica forma gratuita per accedere all’Unione Europea, sono praticamente chiuse. La repressione è enorme, e sono pochissimi coloro che ancora riescono a scavalcare il grillage. Chi arriva a Ceuta lo fa nuotando per chilometri. «Questa settimana ne abbiamo persi tre. Tutti algerini scomparsi in mare» dice Islam, mostrando le foto di tre ragazzi giovanissimi. Con l’aumento dei controlli, aumentano anche i rischi che i migranti prendono per attraversare. Islam ce l’ha fatta. Ha nuotato più di 10 km, ma è arrivato. «Gli algerini nuotano. I subsahariani, scavalcano la barriera» semplifica.

I boschi che circondano le enclavi sono stati abitati per anni da varie migliaia di persone. Nonostante la repressione della polizia erano numerosi gli accampamenti e anche gli “assalti” collettivi alla barriera. Da poco più di un anno invece, le foreste sono semi-vuote: poche centinaia di migranti le abitano, in accampamenti dispersi e sempre più lontano dalla frontiera. È il risultato del massacro di Melilla del 24 giugno 2022 e dei 500 milioni di euro di finanziamenti Ue per controllare le sue frontiere sbloccati poco dopo quella giornata di sangue, dove le polizie marocchina e spagnola reagirono con estrema violenza al tentativo di circa 2000 migranti di scavalcare la barriera. 37 i morti ufficiali, 76 i dispersi, centinaia i feriti.

L’Ue tacque e la Spagna si complimentò per l’operato della polizia marocchina. Nessuna inchiesta ha fatto luce sulle responsabilità politiche e pratiche di quei morti, e solo i processi contro i migranti si sono succeduti nei mesi portando in prigione almeno 65 sopravvissuti, condannati a pene tra i due e i quattro anni.

L’ESTERNALIZZAZIONE delle frontiere europee si vede qui, nelle prigioni di Nador, città di confine con Melilla, dove sono rinchiusi centinaia di migranti accusati di immigrazione clandestina, favoreggiamento o traffico di persone mentre cercavano solo di continuare la loro strada verso l’Europa. Numeri che servono al Marocco per dimostrare il suo impegno nel bloccare l’immigrazione illegale. «I veri trafficanti non vengono quasi mai arrestati. E se vengono presi fanno uno, massimo due anni di carcere», afferma un attivista su Nador. «I migranti che vengono accusati senza prove di essere dei passeur, vengono condannati a pene altissime».

R. ha 19 anni. È stato arrestato nel settembre dell’anno scorso, insieme a T., entrambi di origini subsahariane. La barca con la quale stavano cercando di raggiungere le coste spagnole si è fermata dopo un’ora di navigazione, il motore fuso. La polizia marocchina li ha riportati a riva. Della ventina di persone sul mezzo, quasi tutti marocchini, sono stati arrestati solo loro. R. ed S. si sono fatti nove mesi nella prigione di Nador, accusati di essere gli organizzatori del viaggio illegale. Avevano pagato 3000 euro per il passaggio. Sono usciti per miracolo, grazie a un avvocato che si è preso a cuore il loro caso. «Là dentro è pieno di persone come me. Ci sono anche minorenni accusati di essere dei trafficanti! Molti hanno condanne di 6, 7 anni… così, senza prove».

LA POLITICA MAROCCHINA sulle migrazioni è articolata. Il Marocco è da anni un territorio attraversato frequentemente per raggiungere l’Ue, e dei migranti ne ha fatto una pedina politica, oltre che una merce da sfruttare. Gli accordi stipulati con l’Unione Europea e i soldi ricevuti raccontano la storia di una frontiera che viene aperta e chiusa a seconda degli interessi geopolitici e dei finanziamenti ricevuti.

«Siamo soldi per loro, una mercanzia vivente, in tutte le sue forme» dice L., camerunese, in Marocco da oltre 10 anni. Ne ha vissuti sei nella foresta di Nador. «Fanno accordi su di noi come fossimo oggetti. Ci comprano e ci vendono».

Ora, la frontiera nord con la Spagna è praticamente chiusa per i subsahariani e i sudanesi. Solo alcune barche dirette verso la terraferma spagnola continuano a trasportare persone nella notte, soprattutto marocchini, a prezzi molto alti. Il grosso dei migranti si è spostato. In molti sono scesi verso sud, a Tan Tan e ad El Aaiùn, per intraprendere una delle rotte più pericolose per accedere all’Europa: la strada verso le isole Canarie. Un viaggio di centinaia di chilometri, dove sono numerosissime le imbarcazioni scomparse nel nulla, perse nell’oceano aperto. Oltre 14mila persone sono arrivate sulle isole da gennaio ad oggi, circa il 25% in più rispetto al 2022. Almeno 778 i morti nel primo semestre dell’anno, secondo la Ong Caminandos frontera. La frontiera é ancora aperta a sud, e secondo Omar Naji, avvocato e attivista dell’Amdh (Associazione dei diritti umani marocchina), i motivi sono legati alla complessa situazione geopolitica del conflitto per il Sahara occidentale. Il Marocco vuole il dominio di quei territori, e userà la carta del controllo delle frontiere per aumentare il suo dispositivo militare, oltre che per cercare nuovi finanziamenti. La Spagna inoltre, preferisce che i migranti arrivino su un’isola lontana dalla terraferma, dove possono lasciarli anche per molti mesi.

«LA PRIMA MOTIVAZIONE per cui il Marocco è uno dei gendarmi d’Europa è politica», secondo Naji. «Il Regno si è comprato il silenzio europeo sulla sistematica violazione dei diritti umani. Ci sono più di 900 prigionieri politici con pene fino ai 20 anni qui».

Oujda é l’altra destinazione di coloro che hanno perso le speranze in Marocco e cercano un’altra via per raggiungere l’Unione europea. Da sempre porta di accesso per chi si dirigeva verso Ceuta e Melilla, ora la cittadina marocchina al confine con l’Algeria è diventata la porta di uscita per chi cerca fortuna verso altre rotte.

La famiglia di Awa è grande. Sono 4 sorelle, tre mariti, due bambini. Stanno per ripartire verso l’Algeria, e poi, Tunisia. Cercheranno di prendere il mare da là. «Le barriere sono cambiate, ci sono più rischi, più filo spinato, più sicurezza… Non c’è più speranza… Alcuni ce la fanno, ma la maggioranza vive nella sofferenza». Ha 26 anni Awa, ivoriana. Vive in Marocco da tre anni. «Non c’è giustizia per i neri qui». Si fermerebbe anche a vivere nel Regno, ma il lavoro è molto difficile se non hai i documenti. L’indomani cercheranno di attraversare la frontiera con l’Algeria. «Il Marocco, è finito per noi».

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