Internazionale

«Il regime di Hernandez in Honduras ha l’appoggio di Usa e Ue»

Honduras Intervista alla femminista Melissa Cardoza, autrice del libro «13 colori della Resistenza hondureña», tradotto in italiano a cura dell'associazione Collettivo Italia Centro America

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 26 luglio 2018

Esiste, in Honduras, una «cronologia della disgrazia». La chiama così Melissa Cardoza, autrice del libro «13 colori della Resistenza hondureña», tradotto in italiano a cura dell’associazione Collettivo Italia Centro America: la prima è quella del 28 giugno 2009, il colpo di Stato, la seconda è l’omicidio di Berta Caceres, il 2 marzo 2016, la terza il 26 novembre 2017, le elezioni presidenziali che – grazie a una frode – hanno riconsegnato il Paese a Juan Orlando Hernandez, per un secondo mandato.

Sette mesi dopo, però, l’artista, attivista, femminista e scrittrice hondureña, che nei mesi di giugno e luglio ha realizzato un tour europeo sottolinea l’importanza di «una resistenza che non s’è afflosciata, un popolo che non si è fatto piegare dalla violenza».

«La vera disperazione – spiega al manifesto – è quando la gente non fa più nulla. In Honduras, oggi, l’esperimento più interessante è quello della lotte territoriali, decine, che restano come frutto della mobilitazione popolare dei mesi di novembre e dicembre. Ne sono esempio i «Campamentos Dignos por el Agua y por la Vida». E poi c’è il movimento di studenti e studentesse: hanno una grammatica politica nuova e ricca, che ha saputo includere il discorso femminista e le cause dei popoli indigeni, superando così la retorica della sinistra storica».

Queste forme di resistenza rappresentano speranza?
Sì, anche se il regime di Juan Orlando Hernandez esercita una violenza brutale, forte dell’avallo dell’Unione europea, degli Usa, e anche di quello di Daniel Ortega, presidente del Nicaragua, tra i primi a riconoscere la sua elezione. Non posso nascondere, però, che la situazione è terribile. Si sentono impunibili, e quelli corrotti e ladri non hanno timore, ma questi ostentano la loro condizione. Per questo ci sono rischi. Tornando in Honduras, non porterò con me i miei libri: non sarebbe strano essere fermata. Sanno chi sono, e il lavoro che faccio».

Dove nascono le tue storie?
Per strada. Sono un’artista ma anche un’attivista. Quelle raccolte nel libro che presento in Italia, ad esempio, sono storie che ho vissuto, o che mi sono state raccontate da chi c’era, durante i mesi di barricate che seguirono il colpo di Stato del 28 giugno 2009. Ero presente con il Copinh, l’organizzazione degli indigeni lenca la cui leader era la mia amica Berta Caceres».

Il suo omicidio, nella notte tra il 2 e il 3 marzo del 2016, è ancora impunito. Crede ancora che possa esserci giustizia?
Berta aveva annunciato agli amici che l’avrebbero assassinata, sapeva che vigilata di continua, subiva persecuzioni, minacce. Quando lo diceva, però, cercavamo di sminuire questa situazione. La sua figura era tanto importante, a livello nazionale ed internazionale, aveva vinto il Goldman Prize, che non pensavamo lo avrebbero fatto davvero. Quando accadde, ci siamo sentiti orfani, perché avevano ucciso la persona che più di ogni altra incarnava una speranza per questo Paese. A distanza di oltre due anni, però, posso dire con certezza che chi ha deciso la sua morte aveva fatto male i propri calcoli: lo spirito di Berta, della grande lottatrice sociale, non si è inchinato, quest’omicidio non è stato uno dei tanti scandali del Paese, che dopo 48 ore scompare dall’attenzione dei media e dell’opinione pubblica. Berta è ancora presente, in ogni manifestazione e in tutto il Paese: il popolo hondureño non la dimentica. Ed anche il processo sta andando molto lontano, i figli e il COPINH hanno appena intentato una causa in Olanda contro una delle banche che stava finanziando la costruzione della diga di Agua Zarca, e in Honduras nessuno ha cancellato la domanda di giustizia: vogliamo sapere chi sono i mandanti dell’omicidio.

Alle tante voci s’è unita adesso quella di una cinquantina di europarlamentari, che hanno indirizzato una lettera ufficiale al governo hondureño, chiedendo di cancellare licenze e permessi relativi all’impianto idroelettrico «Agua Zarca». È solo una tra le tante mobilitazioni del COPINH, ma è quella che ha causato la morte di Berta. Tra i firmatari anche 4 italiani: Ignazio Corrao, Isabella De Monte, Eleonora Forenza, Barbara Spinelli.

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