«La globalizzazione e il libero commercio sono quasi morti». Sentenza emessa da Morris Chang, fondatore della Taiwan Semiconductor Manufacturing Company (Tsmc), ormai nota in tutto il mondo come la dominatrice del comparto di fabbricazione e assemblaggio dei semiconduttori.

Strano solo a una visione superficiale che tale sentenza sia stata emessa in Arizona, dopo un incontro col presidente Joe Biden sul sito in cui nel 2024 aprirà i battenti il primo impianto targato Tsmc su suolo americano.

Già, perché i giganti taiwanesi dei microchip si ritrovano invischiati in una battaglia lungi dall’essere solo commerciale e tecnologica, ma che è ormai chiaro a tutti essere «un confronto geopolitico che sta distorcendo l’intero mercato», come ammesso nei giorni scorsi dall’amministratore delegato della Tsmc, C.C. Wei. «La situazione ha distrutto tutta la produttività e l’efficienza portate dalla globalizzazione», ha aggiunto Wei. «Queste barriere compromettono seriamente i benefici di un’economia libera. È una situazione davvero negativa».

NEL 2020 Donald Trump aveva convinto la Tsmc a investire in Arizona subito dopo averne bloccato le esportazioni verso Huawei, ora la Casa Bianca ha ottenuto che quegli investimenti siano triplicati e portati da 12 a 40 miliardi di dollari. Suo malgrado, Taiwan è costretta a seguire la linea imposta da Washington.

Nonostante abbia sempre evitato di esportare verso la Repubblica popolare cinese microchip utilizzabili in campo militare, Taipei ha sempre mantenuto saldo il cordone tecnologico con Pechino. Tsmc ha da diversi anni impianti operativi nella Cina continentale e il legame in materia tra le due sponde non ha svolto solo un ruolo economico ma anche diplomatico.

In assenza di dialogo tra i due governi, i colossi dei semiconduttori sono ascesi al ruolo di ambasciatori de facto. Lo dimostra la recente, ennesima, partecipazione di Chang come rappresentante di Taiwan al summit Apec di Bangkok, durante il quale il fondatore della Tsmc ha tenuto anche un breve colloquio con Xi Jinping.

LE PRESSIONI da parte americana per spezzare quel cordone sono però in costante aumento. In questo contesto nasce la vicenda che vede coinvolto l’altro grande gigante tecnologico taiwanese, la Foxconn. Il governo di Taipei ha preannunciato una multa nei confronti di uno dei principali fornitori di Apple per la sua partecipazione non autorizzata in Tsinghua Unigroup, azienda sostenuta da Pechino e una delle principali realtà in materia di semiconduttori della Repubblica popolare.

La Foxconn ha già dichiarato che venderà le sue azioni di Tsinghua a Yantai Haixiu IC Investment Center per circa 772 milioni di dollari, mentre sta cercando di rilocalizzare parte delle sue linee produttive al di fuori del territorio cinese. Il clima di crescente disaccoppiamento tecnologico e digitale ha coinvolto anche il grande social network cinese TikTok, contro cui il governo di Taiwan ha aperto un’indagine con l’accusa (smentita dall’azienda) di gestire una filiale illegale sull’isola.

MA A TAIPEI e dintorni sono in molti a temere che le manovre in atto portino a perdere il vantaggio strategico nell’industria dei semiconduttori e dunque quel cosiddetto «scudo di silicio» che contribuirebbe in qualche modo alla difesa di Taiwan. Politici dei partiti di opposizione, dal Guomindang al People’s Party, hanno espresso riserve sui piani americani della Tsmc.

La maggioranza del Partito progressista democratico, già alle prese con la transizione dalla guida della presidente Tsai Ing-wen a quella del suo vice William Lai dopo la batosta alle recenti elezioni locali, ha provato a tranquillizzare minimizzando il numero degli ingegneri Tsmc che andranno a lavorare in Usa e Giappone (dove è in costruzione un altro impianto).

È stata poi diffusa la notizia che a breve inizieranno i lavori di costruzione di un impianto di produzione dei nuovi chip a 1 nanometro a Hsinchu, mentre in Arizona verranno fabbricati quelli a 3 nanometri. L’obiettivo è sottolineare che le tecnologie più avanzate resteranno a Taiwan, dove però si inizia a temere che quella che Chang una volta definì «catena montuosa sacra» di chip a protezione dell’isola possa avere in futuro vette meno alte da scalare.