Le persone che la pensano allo stesso modo non sono separate dalle montagne e dai mari. La Cctv, la televisione di stato cinese, introduce così il summit dei Brics a cui partecipa Xi Jinping. I media di Pechino stanno seguendo con grande enfasi il viaggio del presidente in Sudafrica. Con l’intensificarsi della competizione con gli Stati uniti, i Brics diventano d’altronde sempre più importanti per la Cina.

Non un semplice acronimo per le economie emergenti, ma un manifesto politico di quel cosiddetto «sud globale» di cui Pechino vuole ergersi a capofila. L’interpretazione cinese è ben illustrata da quanto scritto ieri dal Quotidiano del Popolo: «La cooperazione dei Brics è un’innovazione che trascende l’approccio convenzionale delle alleanze politiche e militari, stabilendo un nuovo rapporto di partnership piuttosto che di alleanze».

Un po’ il modo in cui la Cina racconta la sua partnership con la Russia, sulla base dei «tre no»: nessuna alleanza, nessun confronto e nessun obiettivo contro terzi. Per il Quotidiano del Popolo, il modello Brics «trascende il vecchio pensiero di tracciare linee basate sull’ideologia e segue un nuovo percorso di rispetto reciproco e progresso comune. Si libera dal vecchio concetto di competizione a somma zero, abbracciando una nuova filosofia di mutuo beneficio e cooperazione win-win».

IL RIFERIMENTO agli Stati uniti è implicito ma chiarissimo. Infinite volte, negli ultimi anni, il governo cinese ha accusato Washington di promuovere una «mentalità da guerra fredda» e una logica di «confronto tra blocchi». Così la Cina racconta le iniziative americane in Asia-Pacifico: dal Quad ad Aukus, fino all’alleanza trilaterale con Giappone e Corea del sud rilanciata dal summit di Camp David di venerdì scorso – contro cui ha presentato una protesta formale.

Pechino descrive le manovre statunitensi come atte a «seminare discordia tra la Cina e i suoi vicini», dunque portatrici di instabilità e potenzialmente di conflitti. Allo stesso tempo presenta se stessa come una potenza responsabile e garante di stabilità, nonostante le recenti tensioni strategiche e militari con diversi paesi della regione.

Il summit dei Brics è un’occasione fondamentale per rafforzare questo racconto. Il sottotesto che emerge in realtà chiaramente: mentre Washington organizza «circoli ristretti» per contenerla, la Cina punta ad allargare le sue partnership. Non per motivi egoistici, prova a sostenere, ma per rendere più forte la voce di quel mondo in via di sviluppo che è stato spesso silenziato.

Così viene giustificato il primo obiettivo del viaggio di Xi: l’allargamento del blocco. In tal senso, è ritenuto fondamentale l’andamento delle relazioni con Nuova Delhi, finora meno disponibile di altri vicini asiatici ad allontanarsi da una politica estera non allineata. Attesa per capire se ci sarà un bilaterale tra Xi e il premier indiano Narendra Modi. Sarebbe il primo da oltre tre anni, dopo gli scontri lungo il confine conteso del giugno 2020, che causarono diversi morti tra i militari dei due paesi.

ALMENO 40 GOVERNI sarebbero interessati ad aderire ai Brics, e 23 hanno formalmente espresso la propria candidatura, quasi sempre di paesi che hanno un ottimo rapporto con Pechino, ed è proprio la Cina a spingere per un loro ingresso. Realizzare l’espansione darebbe a Xi un considerevole benefit diplomatico. Soprattutto se il valore economico del gruppo facesse seri passi di avvicinamento al G7. L’ambasciatore cinese in Sudafrica, Chen Xiaodong, ha dichiarato che la governance globale è «disfunzionale, inadeguata e assente».

I Brics extra large potrebbero ambire a rinnovarla, sempre che vengano appianate le asimmetrie interne. Brasile e India hanno frenato sull’allargamento, per evitare l’impressione di un blocco anti occidentale, ma la Cina mira a far valere in chiave politica l’eventuale maggiore peso di un consesso in cui agisce da leader senza dire di esserlo.