Il primo «popolo indigeno» dell’Africa sorprende tutti
Storica sentenza Sfrattati dalla foresta, gli Ogiek ora potranno far valere il loro diritto a custodirla. Lo dice la Corte di Arusha, ma la trattativa con Nairobi per ottenere risarcimenti e scuse ufficiali non sarà facile. Viaggio nelle terre ancestrali di una comunità a cui da oggi guardano in molt
Storica sentenza Sfrattati dalla foresta, gli Ogiek ora potranno far valere il loro diritto a custodirla. Lo dice la Corte di Arusha, ma la trattativa con Nairobi per ottenere risarcimenti e scuse ufficiali non sarà facile. Viaggio nelle terre ancestrali di una comunità a cui da oggi guardano in molt
Lungo la strada sterrata che porta a Marashoni il paesaggio, in molti tratti, è più simile ad alcune zone montane dei nostri appennini, ma in realtà siamo nella foresta Mau in Kenya, poco più di 200 km a nord ovest della capitale Nairobi, nella contea di Nakuru.
Nel piccolo agglomerato di case in legno, fra campi per lo più coltivati a patate e prati dove pascola qualche pecora mentre gruppi di bambini si divertono giocando, ci accoglie Fredrick Lesingo. È un uomo sorridente, indossa una giacca a vento e un berretto da baseball. Siamo a oltre 2500 metri di altitudine, il clima è piuttosto freddo e umido, specie in questa stagione, e il tempo può variare repentinamente.
FREDRICK TIENE IN MANO un arco con delle frecce e altri strumenti di legno, ha una sacca di pelle non conciata in spalla e un machete attaccato alla cintura. È uno dei più esperti raccoglitori di miele degli Ogiek, un gruppo minoritario di circa 40 mila persone che vive da sempre nella foresta Mau. La loro economia si basa tradizionalmente sulla caccia e la raccolta dei prodotti del proprio territorio, del miele in particolare. Fredrick ci guida all’interno di Kiptunga, una porzione di foresta vergine integra e lussureggiante dove gli Ogiek raccolgono piante selvatiche dalle numerose proprietà mediche e alimentari e tengono i propri alveari, ricavati da tronchi cavi che collocano sui rami più alti degli alberi.
Per raccogliere il miele, Fredrick ha bisogno del fumo per calmare le api, così tira fuori dei bastoncini e accende il fuoco «come facevano i nostri padri prima dell’arrivo della tecnologia» dice. Dopo aver ottenuto il fumo si arrampica agilmente su un albero alto circa 20 metri dov’è appesa un’arnia, raccoglie il miele a mano e lo mette all’interno della sua sacca di pelle.
Frederick era nel folto gruppo di leader comunitari presenti ad Arusha, in Tanzania, il 26 maggio scorso, alla Corte africana per i diritti dell’uomo e dei popoli, quando gli Ogiek hanno vinto la causa contro il governo del Kenya per il diritto di proprietà della loro terra ancestrale.
LA SENTENZA, la prima del genere nel continente, ha già fatto storia, aprendo la porta a simili rivendicazioni di altre comunità indigene del continente. La Corte africana per i diritti dell’uomo e dei popoli, voluta dall’Organizzazione dell’unità africana (Unione Africana dal 2002) ed entrata in funzione nel 2006, ha stabilito che il governo di Nairobi ha violato i diritti degli Ogiek sfrattandoli ripetutamente dalle loro terre ancestrali con il pretesto della conservazione della foresta che intanto è stata devastata da altri per la produzione di legname e per attività di agribusiness, in cui hanno investito importanti famiglie del paese, tra cui quelle dell’ex presidente Moi e dell’attuale presidente Kenyatta. Sono la vasta deforestazione e le piantagioni di essenze estranee all’ambiente ma adatte alla commercializzazione ad aver stravolto il panorama, rendendolo simile in diversi tratti a quello delle nostre montagne.
La foresta è stata lottizzata anche attraverso l’insediamento di altri gruppi etnici a scopi elettorali e politici. L’ultimo episodio, che risale agli anni ’90 sotto il regime di Daniel Arap Moi, interessò il 20% del territorio forestale.
GLI OGIEK hanno iniziato la loro battaglia legale dieci anni fa con la richiesta alle autorità competenti dei titoli di proprietà della loro terra. Il governo di Nairobi nel 2009 ha risposto con un ordine di sfratto da eseguirsi in due settimane. Ma gli Ogiek, organizzati e rappresentati dalla ong locale Ogiek Peoples Development Programme (Opdp), hanno fatto ricorso alla Commissione africana per i diritti dell’uomo e dei popoli, che ha sede in Gambia e lavora in base ai principi della Carta africana per i diritti dell’uomo e dei popoli, di cui il Kenya è firmatario. La Commissione ha bloccato l’espulsione e poi ha girato il caso alla corte di Arusha che ha emesso il suo verdetto quattro mesi fa. I giudici hanno stabilito che il governo keniano ha violato sette articoli della Carta africana e ha ordinato di prendere «tutte le misure del caso» per porvi rimedio. L’esecutivo di Nairobi ha accettato la sentenza.
DAI TEMPI COLONIALI A OGGI gli Ogiek hanno sofferto una lunga storia di discriminazione e la foresta ha rischiato di perdere i suoi migliori custodi, ma ora «abbiamo sorpreso tutti. Specie il governo keniano» dice Daniel M. Kobei, direttore dell’Opdp, intervistato nel suo ufficio di Nakuru. «Siamo il primo popolo indigeno africano ad esser stato riconosciuto come tale. La costituzione keniana parla solo di comunità minoritarie di cacciatori-raccoglitori e non di comunità indigene» afferma Kobei, sottolineando che d’ora in poi gli Ogiek potranno godere delle protezioni stabilite dalla Dichiarazione dei diritti dei popoli indigeni, adottata dall’Onu nel 2007.
La Corte ha dato tre mesi al governo per iniziare le trattative sulle riparazioni. Proprio l’implementazione della sentenza rappresenta ora l’ultimo scoglio da superare.
Pochi giorni fa l’Opdp ha consegnato la bozza con le richieste. Kobei racconta che il documento contiene prima di tutto la richiesta dei titoli di proprietà delle terre che appartengono alla sua gente, poi la compensazione per quelle che non potranno essere restituite, oltre al risarcimento per gli spostamenti forzati. E infine «le scuse formali del governo per quello che abbiamo dovuto patire».
LA TRATTATIVA CON IL GOVERNO sarà lunga e tutt’altro che facile. Dal suo esito dipende la possibilità degli Ogiek, come Fredrick, di poter continuare a vivere nella foresta.
Dall’emarginazione a Slow Food. Un’economia basata sul miele
Il miele è tradizionalmente il cibo di base degli Ogiek e costituisce ancora una delle loro risorse più importanti. Sull’economia del miele si fonda l’identità culturale del gruppo. La ricchezza delle famiglie dipende dal numero di arnie possedute, che passano di padre in figlio. Non è raro trovare nella foresta arnie secolari. Grazie a diversi progetti di sviluppo il miele è diventato un’importante risorsa economica e viene attualmente venduto localmente, in attesa che la produzione consenta di estendere la rete di commercializzazione.
La qualità e il valore identitario del miele degli Ogiek di Mariashoni è stato recentemente riconosciuto da Slow Food, che lo ha ammesso tra i suoi presidi, garantendo che è prodotto secondo la tradizione e che il profitto va a vantaggio dei produttori locali. Si può trovare in Italia solo durante l’iniziativa Terra Madre, organizzata ogni due anni da Slow Food a Torino, cui gli Ogiek partecipano ormai regolarmente. Sono passati così dall’emarginazione, che ha caratterizzato da sempre i gruppi di cacciatori e raccoglitori, alla
partecipazione orgogliosa e consapevole a un movimento mondiale che sta cambiando la percezione della qualità e del valore del cibo, promuovendo una cultura alimentare basata sulla produzione dei piccoli produttori contro l’omologazione del mercato dominato dalle multinazionali.
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