Il primo conflitto paritario
Città Ventisette posti di lavoro tra maestre e collaboratori cancellati in un giorno, a cui vanno aggiunti i sessanta posti letto del convitto. Per le suore e i dirigenti delle cooperative la storia può chiudersi qui. Ma non per le lavoratrici.
Città Ventisette posti di lavoro tra maestre e collaboratori cancellati in un giorno, a cui vanno aggiunti i sessanta posti letto del convitto. Per le suore e i dirigenti delle cooperative la storia può chiudersi qui. Ma non per le lavoratrici.
Una scuola che chiude, un privato che fugge nonostante i contributi pubblici ricevuti, il mercato immobiliare che prosciuga le attività storiche e decine di lavoratrici che perdono il posto dal giorno alla notte. C’è tanto di già sentito nella vicenda dell’Istituto Santa Giuliana di Bologna, che a settembre chiuderà almeno in parte i battenti. Ma c’è anche dell’altro: la lotta sindacale, l’unità di una comunità scolastica, la solidarietà che corre tra maestre, famiglie, studentesse universitarie. Una storia di mobilitazione non così frequente in tempi di spoliticizzazione e crisi dei corpi intermedi.
TUTTO HA INIZIO alla fine del 2022. L’Istituto Santa Giuliana è un complesso di proprietà della Congregazione delle suore mantellate. Comprende una scuola dell’infanzia, una primaria e un convitto femminile abitato in gran parte da studentesse universitarie. Sorge a Bologna, nella centralissima via Mazzini, ed è da decenni una certezza per gli abitanti del quartiere. Almeno fino al novembre dell’anno scorso. È in quel mese che le suore, assieme alle due cooperative che hanno in appalto scuola e dormitorio, convocano d’urgenza i lavoratori – quasi tutte donne. Oggetto della riunione è la cessazione delle attività. La Congregazione ha deciso di vendere l’immobile, e quindi da settembre tutti a casa. «Quando abbiamo chiesto cosa dovessimo fare», racconta una delle lavoratrici, «ci hanno risposto semplicemente di cercarci un altro impiego».
Ventisette posti di lavoro tra maestre e collaboratori cancellati in un giorno, a cui vanno aggiunti i sessanta posti letto del convitto. Per le suore e i dirigenti delle cooperative la storia può chiudersi qui. Ma non per le lavoratrici. «Molte di noi erano iscritte al sindacato. Quando è arrivata la notizia, è stato spontaneo rivolgersi alle organizzazioni dei lavoratori. Da quel momento è nata la vertenza». A parlare è Rosella, docente storica e rappresentante sindacale in quota Flc Cgil. «Sulle prime alcune di noi avevano timore. Temevano che rivolgendosi al sindacato avremmo indispettito le suore, o che le altre scuole della città ci avrebbero rifiutate per questo. Ma piano piano tutte si sono convinte fosse la scelta giusta», ci spiega Elena Milani, una delle maestre più giovani dell’Istituto.
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Quei carrarini con il fiocco nero al collo e un blitz che ci riporta all’OttocentoLE LAVORATRICI SI RIUNISCONO in assemblea e chiedono un incontro. Suore e cooperative sono costrette a sedersi al tavolo, ma la trattativa non è facile. «All’inizio speravamo di salvare l’istituto, ma le porte ci sono state chiuse da subito», spiega Rosella. «Allora abbiamo cercato di ottenere la continuità lavorativa in altre scuole della città. Ma di nuovo abbiamo ottenuto poco e nulla. A quel punto abbiamo iniziato a mobilitarci». Le maestre decidono di scioperare. La vicenda di Santa Giuliana smette di essere un affare interno e arriva sulle pagine dei quotidiani locali. Se ne interessano le autorità. È il primo punto di svolta. «Solo da quel momento abbiamo iniziato a vedere delle aperture. Ci venne offerto un incentivo all’esodo – cifre per noi inaccettabili, ma era l’inizio».
La mobilitazione va avanti per mesi. Da un lato i tavoli, con la Città metropolitana di Bologna che si offre come mediatrice. Dall’altro la protesta. Lavoratrici e sindacato scrivono al vescovo, organizzano sit in. Al primo sciopero ne segue un secondo nel maggio di quest’anno: adesione totale. Le maestre armate di cartelli e striscioni arrivano a bloccare la strada di fronte all’istituto. Spuntano anche delle tende: sono quelle delle studentesse del convitto, che a settembre verranno sfrattate. Sono in tutta Italia il simbolo della frustrazione dei fuorisede alle prese con il caro-affitti, e a Santa Giuliana ricordano che assieme al lavoro sono anche i posti letto a venire cancellati.
ALLA FINE L’ACCORDO arriva. L’immobile verrà venduto come previsto, «ma una delle due attività dovrebbe rimanere in funzione», spiegano dal sindacato. Quasi certamente il dormitorio. Il nome dell’acquirente non è noto, ma dovrebbe essere divulgato non appena la vendita sarà conclusa. Intanto per le lavoratrici si è giunti ad un compromesso. Prima della vertenza Congregazione e cooperative non avevano previsto nessun tipo di aiuto. Alla fine, dal tavolo si esce con la cassa integrazione per dodici mesi – vincolata al rinnovo da parte del governo, che però appare quasi certo.
Per chi decide di dimettersi prima della scadenza dell’ammortizzatore sociale, poi, c’è un incentivo all’esodo. L’ammontare esatto dipende dal contratto, ma in tutti i casi più di quattordici mensilità lorde. «È un buon accordo» dice Rosella. «Noi avevamo puntato più in alto, ma pensiamo di aver ottenuto tutto quello che si poteva ottenere. Certo, rimane l’amarezza per la fine di una comunità scolastica». Le fa eco Milani. «Se sono soddisfatta? Sni. Sicuramente avrei evitato tutto questo. Ma noi siamo rimaste coese».
PROPRIO UNITÀ È IL CONCETTO che più spesso risuona tra chi ha preso parte alla vertenza. Matteo Negri è il responsabile della Flc Cgil che ha seguito la vicenda. Il suo parere sul tema è netto: tutto ciò che si è ottenuto lo si è ottenuto grazie alla lotta e alla coesione delle lavoratrici. «C’erano mille modi in cui si poteva spaccare il nostro fronte. Avevamo persone assunte da due cooperative diverse, con almeno tre tipi di contratto diversi. In questi casi è facile che ognuno pensi per sé. Ma non a Santa Giuliana: dal primo minuto si è andati compatti».
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Sgomberare i richiedenti asilo, «così magari andranno altrove»Anche Rosella la pensa allo stesso modo: «Non ci hanno mai divise. Anche le nuove arrivate, che magari avevano già messo in conto di lasciare la scuola a breve, hanno protestato assieme a chi stava qua da vent’anni». E l’unità non riguarda solo chi rischia il posto di lavoro. «Anche i genitori si sono subito schierati dalla nostra parte. Si sono preoccupati per i figli, che perdono la continuità educativa, e si sono preoccupati per noi. E poi ci sono le ragazze del convitto! Non dimentichiamo che siamo a Bologna, trovare un posto letto è difficile e sempre più costoso. Lasciarle in mezzo alla strada è un danno enorme. Quando le abbiamo viste scioperare con noi eravamo felici!», continua Milani. «Abbiamo smentito il mito per cui nelle scuole paritarie e cattoliche non si può fare conflitto», conclude Negri.
DI CERTO C’È CHE LA VICENDA di Santa Giuliana è sintomatica di alcuni fenomeni che vanno oltre il caso specifico. In primis il problema delle aziende che chiudono dopo anni di contributi pubblici. «L’istituto ha preso eccome finanziamenti dalla collettività», spiega Matteo Negri «ma questo non gli ha impedito di chiudere i battenti quando ha voluto. Mancano vincoli sociali che impediscano questo genere di scelte». E poi c’è la questione immobiliare. In una Bologna da anni alle prese con l’emergenza affitti, gli immobili assumono un valore enorme e diventano facilmente oggetto di speculazione. Negri se la prende anche col Pnrr: «Difficile non notare che il Piano di ripresa e resilienza destini fondi a privati perché approntino nuovi alloggi».
LA VERTENZA SEMBRA ALMENO in parte conclusa. Rimane da capire chi sarà l’acquirente dell’immobile, e quindi il destino del convitto, che si spera possa rimanere in funzione. Le lavoratrici della scuola hanno l’orgoglio di una battaglia combattuta con forza e che ha portato a risultati tangibili. Ma anche la tristezza di chi viene costretto a fermare una macchina che funziona, un lavoro ben fatto, una comunità. «Amo l’insegnamento, ma per un po’ credo mi dedicherò ad altro», ci confida Elena Milani. «Ora cerco di non pensarci», dice Rosella, «ma l’idea di passare a settembre di fronte alle porte di Santa Giuliana, e trovarle chiuse, fa male».
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