L’Italia aspetta il regalo di Natale nelle bollette, esulta per il calo del prezzo del gas di questi giorni – siamo sotto i 100 euro il megawattora (ma prima della guerra era intorno ai 40, anche se nell’estate aveva superato i 300) – e si culla nella narrazione di un «effetto magia» del price cap (a 180 euro) deciso lunedì dai ministri Ue dell’Energia dopo mesi di tensioni, un tetto che i refrattari pensano che non dovrebbe mai scattare e per questo hanno messo una serie di “freni d’emergenza” come garanzia.

La Polonia fa ancora meglio: il governo populista, con una legge firmata mercoledì dal presidente Andrzej Duda, ha abbassato a 43 euro il prezzo del megawattora per le famiglie, le chiese, le ong, gli asili, le scuole e le università, ma non per le imprese (che comunque dovrebbero beneficiare, per Varsavia, della maggior fluidità del mercato).

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Il ribasso momentaneo del prezzo ha varie cause: prima di tutto, c’è un calo della domanda mondiale e questo non è una buona notizia. In Europa vari settori industriali sono stati messi in difficoltà dall’aumento del prezzo dell’energia, ci sono già cali di produzione, nel mondo la Cina ha annunciato una crescita dimezzata rispetto al recente passato e resta l’incognita delle conseguenze della crisi del Covid. Nella Ue ora le scorte sono all’84% e il freno della domanda può influire momentaneamente per moderare l’impennata.

Ma gli analisti del settore restano molto scettici rispetto all’esultanza di alcuni per il ribasso del gas. Al massimo, sperano che l’approvazione del price cap nella Ue favorisca una stabilizzazione dei prezzi. Gli esportatori di gas però hanno espresso scontento: l’Algeria, per esempio, ha protestato due giorni fa contro il tetto europeo. Il think tank francese The Shift Project ha messo in guardia gli europei con un rapporto sul gas naturale pubblicato il 6 dicembre scorso: il prezzo del gas resterà alto per almeno altri 5 anni, sostengono.

Il gas sta attraversando una crisi strutturale, non momentanea anche se aggravata dalla guerra in Ucraina, iniziata nel 2021 con l’uscita dal Covid. Con la guerra, sono state chiuse o mai aperte le principali pipelines con la Russia (Nord Stream 1 e 2), la Ue, che aveva una dipendenza dal gas russo del 40% l’ha ridotta al 9% e per il rinnovamento degli stock del prossimo inverno 2022-23 dovrà fare i conti senza il rifornimento dalla Russia.

L’Aie (agenzia internazionale dell’energia) teme che manchino fino a 30 miliardi di metri cubi nella Ue per rinnovare le scorte. La guerra del gas ha portato alla costruzione veloce di piattaforme per accogliere il Gnl, che viene prima di tutto dagli Usa (passata dal 29% al 43%) e che pesa sempre di più nell’import della Ue (il Gnl è passato dal 22% nel 2021 al 40% quest’anno).

Secondo The Shift Project, c’è un rischio importante di guerra economica attorno al gas, che vedrà l’Europa spaccarsi tra est e ovest e quella dell’ovest confrontarsi sempre più con l’Asia dell’est. Per il think tank la sola via d’uscita è mantenere gli impegni presi dalla Ue per il clima, rispettare i tempi del Fit for 55, della riconversione dalla dipendenza dalle energie fossili verso le rinnovabili.