Esattamente a un anno dalla proclamazione dello “stato d’eccezione” in El Salvador, Nayib Bukele ha il vento in poppa come nessun altro capo di stato latinoamericano, con almeno il 67% dei salvadoregni pronto a rieleggerlo il prossimo anno. E c’è da essere sicuri che, controllando i tre poteri dello stato, modificherà la costituzione che ne vieterebbe la ricandidatura.

L’APPENA 40ENNE presidente può vantarsi infatti di aver disarticolato le fatidiche maras (bande giovanili) che avevano convertito El Salvador in uno dei paesi più violenti della terra in tempo di pace. Due le organizzazioni che imperversano (o, forse ormai, imperversavano) dagli anni ’90: la Mara Salvatrucha (MS 13) e la Barrio 18, entrambe nate a Los Angeles e trapiantate in El Salvador via via che i figli d’immigrati venivano deportati dopo aver scontato una pena in California. Si calcola che fossero 70mila i giovani che controllavano in particolare le periferie delle città mediante le estorsioni a qualsiasi attività del quartiere.

Chi sgarrava veniva ucciso; e le donne violate. Senza contare poi le dispute fra loro per queste zone, amplie quanto marginali. In una disperante guerra fra poveri, visto che quelle residenziali dei benestanti sono rimaste sempre ben protette.

Dopo aver negoziato con le pandillas per i primi due anni presidenziali una sorta di non belligeranza, dal tragico ultimo weekend del marzo 2022 (in cui furono assassinate 87 persone) Bukele ha sospeso alcune garanzie costituzionali e mobilitato esercito e polizia. Da allora 64mila giovani sono stati arrestati (fra loro 1.200 minorenni) con procedimenti giudiziari approssimativi.

Nayib Bukele (Ap)

IL PRESIDENTE TWITTERO è arrivato poi a costruire a Tecoluca a tempo di record il più grande carcere delle Americhe (e forse del mondo), denominato Centro di Confinamento del Terrorismo, capace di ospitare fino a 40mila mareros, con 19 torri di vigilanza e una recinzione elettrica a 15mila volts. Che ha fatto scattare le ennesime critiche di diverse organizzazioni internazionali per i diritti umani. Cui Bukele ha replicato in un discorso pubblico: «Ci rimproverate di violare i diritti di questi poverini criminali perché gli togliamo i materassi; ma dove eravate quando loro toglievano la vita a tanti salvadoregni?».

Sull’argomento è sorta poi paradossalmente una querelle fra lo stesso Bukele (che in origine proveniva dalle fila del partito Fmln della ex guerriglia salvadoregna) e il presidente colombiano Gustavo Petro (ex guerrigliero del M 19) il quale ha fatto osservare che «nel nostro paese abbiamo ridotto il tasso di omicidi non con megacarceri ma con scuole e università», fino a ridurre da 90 (nel 1993) agli odierni 13 i morti ammazzati per centomila abitanti.

LA RISPOSTA DI BUKELE, che al contrario ha ricevuto la visita e il plauso del senatore repubblicano della Florida Marco Rubio, è stata questa: «Voi ci avete impiegato trent’anni e noi in meno di un anno siamo scesi a una sola cifra e – ha aggiunto – quei morti non si recuperano».

In effetti quella di Bukele rischia di rivelarsi un’insidiosa scorciatoia autoritaria che non va alla radice della povertà e delle disuguaglianze sociali di questo minuscolo quanto densamente popolato paese, dove l’oligarchia storica le tasse di fatto non le paga neanche oggi; e anzi ha sempre trattato i suoi sottoposti come dei peones.

STA DI FATTO che girare per le strade del tormentato El Salvador non è mai stato così tranquillo. E se prima una buona fetta dei suoi abitanti subiva terrorizzata le minacce delle bande, oggi si avventura a denunciare ogni sopruso. Augurandosi che duri. Da ultimo, sulla fallimentare legalizzazione del bitcoin di cui Bukele fu l’apripista planetario nel settembre 2021, la sua circolazione si è ridotta ai minimi termini. Anche se il presidente continua ad acquisirlo nonostante il fallimento di numerose piattaforme cripto nel mondo con truffe miliardarie a centinaia di migliaia di piccoli e medi investitori.