“Quando entri nel Darién affidati a Maria: l’ingresso è nelle tue mani, l’uscita in quelle di Dio”. Il macabro presagio inciso sulle pareti di una fortezza spagnola in Colombia restituisce la fama di una regione selvatica, quella del Darién, che rappresenta da almeno cinque secoli una frontiera impenetrabile tra il Nord e il Sud del continente americano.

Tra Colombia da Panama, la foresta del Darién è oggi al centro di una contesta internazionale che vede coinvolti gli Stati Uniti, Panama e l’organizzazione mafiosa del Clan del Golfo, che dai migranti che attraversano il Darién – in viaggi da incubo che durano giorni e giorni – ricava profitti comparabili a quelli derivati dal traffico di cocaina. Nel 2023 sono stati oltre 520mila i migranti passati dal Darién nel loro viaggio verso gli Stati Uniti. Ma nel corso degli ultimi mesi il tragitto si sta facendo meno impervio: la capillare (e costosa) organizzazione di viaggio del Clan del Golfo consente ai migranti di ricevere una guida – almeno nel versante colombiano – ed è interesse dello stesso gruppo paramilitare migliorare le infrastrutture di una foresta già in parte addomesticata dai movimenti umani.

Così, in una regione di frontiera che condensa le contraddizioni del continente, la mafia del Clan del Golfo sta riuscendo in un’impresa fallita dai grandi imperi europei: unire le Americhe. Le difficoltà climatiche della selva, insieme alle resistenze indigene, avevano infatti allontanato gli spagnoli dal Darién già nel Cinquecento, soffocato le velleità coloniali del regno di Scozia a fine Seicento (culminate in uno spettacolare fallimento anche economico) e devastato le ambizioni francesi di fine Ottocento di costruire nel Darien un canale tra i due oceani.

L’impresa del canale sarebbe riuscita alcuni decenni dopo agli Stati Uniti, nella più mansa regione di Colón. Tuttavia, le mire espansionistiche statunitensi si sono mantenute storicamente distanti dal Darién. Nel nuovo millennio, l’ambizione di costruire una via di connessione che unisse Panama e la Colombia – completando la rotta panamericana – ha lasciato spazio agli interessi di mantenere intatta la frontiera, usufruendo dell’impenetrabilità della foresta per regolare i flussi migratori dall’America del Sud.

Gli obiettivi degli Usa non coincidono però con quelli del Clan del Golfo, la cui gestione – violenta e intimidatoria – del confine sta facilitando, quotidianamente, l’accesso a Panama a migliaia di migranti provenienti da America del Sud, Caraibi, Africa e Asia. A inizio giugno, il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti ha promesso ricompense milionarie per chi contribuirà all’arresto dei capi del Clan del Golfo. Il neoeletto presidente di Panama José Raul Molino, conservatore, ha firmato ieri un accordo con Alejandro Mayorkas, segretario della sicurezza interna Usa: Panama otterrà dagli Stati Uniti un contributo economico per rimpatriare le persone che entrano nel Paese illegalmente attraverso il Darién. Nel suo discorso di insediamento, Molino ha colpevolizzato i migranti di aver alimentato una crisi sociale, economica e ambientale a Panama.

Mentre il tema del Darién diviene tema di dibattito elettorale negli Stati Uniti, con Trump che alimenta lo spauracchio della «immigrazione di cinesi in età militare», le testimonianze dalla frontiera colombo-panamense sono preoccupanti: le notizie allarmistiche dagli Stati Uniti permettono ai trafficanti di esigere più denaro – in genere diverse centinaia di dollari – per garantire ai migranti un accesso ‘sicuro’ a Panama: solo la prima delle sette frontiere che separano la Colombia dal sogno americano.