Visioni

«Cerrar los ojos», il potere del grande schermo per costruire memorie

«Cerrar los ojos», il potere del grande schermo per costruire memorie«Cerrar los ojos» di Victor Erice

Cannes 76 Nella sezione Cannes Première il film di Victor Erice, ritorno (con polemiche) dopo trent'anni lontano dalle scene. La misteriosa scomparsa del primo attore, un'avventura per chi crede ancora nelle immagini

Pubblicato più di un anno faEdizione del 27 maggio 2023

A oltre trent’anni da El sol del membrillo, Victor Erice realizza un nuovo film, ma il suo ritorno a Cannes non è per nulla sereno. Assente alla proiezione ufficiale, il regista spagnolo ha indirizzato una lettera aperta al direttore Frémaux accusandolo di poca trasparenza. La collocazione fuori concorso nella sezione Cannes Première non gli è andata giù. Se la decisione gli fosse stata comunicata in tempo utile, lui avrebbe preferito accettare l’invito della Quinzaine des Cineastes per la proiezione d’apertura o, in alternativa, avrebbe proposto il film ai festival di Locarno o Venezia. Quello che probabilmente brucia all’ottantenne Erice è la scarsa considerazione che gli è stata riservata da un festival che in passato lo aveva sempre accolto in sezioni competitive – Lo spirito dell’alveare alla Semaine del ‘73, in concorso El sur nel 1983 e El sol del membrillo nel 1993, quando vinse il premio della giuria – e con il quale riteneva di avere un rapporto speciale.

Il racconto si snoda lungo la lineare ricerca dello scomparso, alimentata dalla speranza, incrollabile e romanzesca, che in un film non può che avere la meglio sulle risultanze delle indagini.

SE LA QUESTIONE dell’esclusività tra autori e festival è più legata a fattori economico-promozionali che a qualità filmiche, il sospetto che Cerrar los ojos possa essere l’esito senile di una luminosa carriera può essere tranquillamente sgombrato. Lontano dalle tendenze modaiole di molti film in concorso, la pellicola rientra invece molto bene nella definizione di «film classico, d’avventure» che il protagonista Miguel Garay (Manolo Solo) ripete più volte per definire il lavoro che anni prima dovette interrompere per la misteriosa scomparsa del primo attore, Julio Arenas (Josè Coronado). Il racconto si snoda lungo la linea della ricerca di quest’ultimo, alimentata dalla speranza, incrollabile e romanzesca, la quale in un film non può che avere la meglio sulle risultanze delle indagini. Infatti, una trasmissione televisiva dedicata agli scomparsi illustri stimola una testimonianza e la ricerca di Miguel giunge presto a un risultato.

A QUESTO PUNTO l’avventura da classica diventa decisamente «moderna»: lo strumento principe per attingere alla verità è il cinema, con le sue immagini fragili e granulose, i dettagli rivelatori e gli incastri che per quando casuali producono senso. Come un Antonioni che abbia fatto a meno del suo sistematico scetticismo, e un Nick Ray sopravvissuto all’incontro con Wim Wenders, Erice crede ancora nelle immagini e nel loro potere di costruzione memoriale se proiettate nel luogo loro consacrato. Un omaggio al cinema come vita e alla sala cinematografica come luogo di consapevolezza, forse inattuale tra gender e post-human, ma di certo un gran film.

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