Il petrolio del Mare del Nord divide i nazionalisti scozzesi
Verso la Cop26 di Glasgow «It’s Scotland’s oil», il vecchio slogan indipendentista di fronte alla nuova spinta ecologista. Nello stesso Snp, grazie soprattutto al contributo degli iscritti più giovani, cresce la fronda interna schierata per l’interruzione delle trivellazioni
Verso la Cop26 di Glasgow «It’s Scotland’s oil», il vecchio slogan indipendentista di fronte alla nuova spinta ecologista. Nello stesso Snp, grazie soprattutto al contributo degli iscritti più giovani, cresce la fronda interna schierata per l’interruzione delle trivellazioni
It’s Scotland’s oil! è stato uno degli slogan più efficaci nella campagna per l’indipendenza della Scozia dal Regno Unito dagli anni Settanta in poi. Il motto sintetizza l’idea per cui solo la Scozia, e non l’intera Unione, debba beneficiare delle ingenti risorse petrolifere presenti nei mari scozzesi.
Tuttavia, la crescita della spinta ecologista all’interno del partito di governo filoindipendentista Snp, rende quello slogan sempre più scomodo. Il fronte di contrari allo sfruttamento del petrolio scozzese si allarga a macchia d’olio. Le divisioni interne al partito sembrano ricalcare quelle dell’opinione pubblica: è il caso – ci si chiede – di rinunciare a un piatto così ricco, oltre che di mettere in difficoltà un’industria che dà lavoro a tanti scozzesi, per l’ecologia?
Il primo giacimento petrolifero nel Mar del Nord fu portato alla luce nel settembre 1969. Si calcola che da allora si sia estratto l’equivalente di 45 miliardi di barili. La tesoreria britannica ha dichiarato che i proventi per le finanze pubbliche generati in Scozia dalle industrie petrolifere ammontano a 340 miliardi di sterline, denaro che è andato a supportare servizi essenziali come la sanità pubblica. Inoltre, sono circa 100 mila i lavoratori scozzesi impegnati nell’industria estrattiva e nel suo indotto.
Anche per questa ragione il governo di Londra ha concesso sgravi enormi a questo settore, calcolati da Juan Carlos Boué dell’Oxford Insitute for Energy Studies in circa 250 miliardi di sterline. Interrogato a questo proposito, il ministro per l’energia scozzese Paul Wheelhouse ha sostenuto che, finché parte del Regno Unito, la Scozia ha le mani legate. Ma è poco chiaro se una Scozia indipendente, guidata dal Partito nazionale scozzese, opterebbe per un reale e sostanziale cambiamento delle attuali politiche energetiche.
Il sito ufficiale del partito riporta infatti che nonostante «l’inizio di una transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio», è essenziale che sia la Scozia a gestire direttamente i propri giacimenti – e quindi a goderne economicamente. La questione ambientale pare quindi secondaria, almeno per il momento. Pur avendo supportato in più occasioni i movimenti ecologisti, la stessa premier Nicola Sturgeon ha dichiarato che la Scozia intende «massimizzare il guadagno da tali risorse».
Dopo la proliferazione dei movimenti ecologisti nel 2019, tuttavia, l’aria sembra destinata a cambiare a Edimburgo. La spinta a un cambiamento di tale approccio si avverte anche nello stesso Snp: grazie soprattutto al contributo degli iscritti più giovani, cresce la fronda interna schierata per l’interruzione delle trivellazioni nel Mar del Nord. Tale fronda raccoglie almeno un terzo dei candidati del Snp al parlamento scozzese nelle elezioni del prossimo maggio. Pur non chiedendo una sospensione immediata dello sfruttamento del petrolio scozzese, gli ecologisti dentro e fuori il partito chiedono che il governo fissi quanto meno una end date.
Ma diverse sono le resistenze. La prima è che, come detto in precedenza, l’industria petrolifera impiega molti lavoratori. Il research director di Oil Change International Greg Muttitt sostiene però che, una volta ultimata, la transizione a un sistema a zero emissioni di carbonio produrrebbe persino un incremento dell’occupazione, arrivando a impiegare circa 180 mila persone in Scozia. Va in effetti ricordato che la Scozia ha un potenziale enorme per lo sfruttamento delle energie rinnovabili, e in particolare quella eolica. Il secondo argomento è che, come sostenuto dal ministro Wheelhouse, «le conoscenze e l’esperienza dell’industria del petrolio e del gas – e della sua filiera – saranno molto importanti per sviluppare e investire in tecnologie a basse emissioni». Recenti inchieste dimostrano che invece, nonostante i tanti proclami, le compagnie petrolifere stiano al momento reinvestendo solo l’1.3% dei propri guadagni in ricerca sulle energie rinnovabili.
In merito alla questione energetica, lo stesso Muttitt ha dichiarato che essa è destinata a creare non pochi imbarazzi al governo scozzese in occasione della conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici 2021, che si terrà proprio a Glasgow. È tuttavia possibile che da qui ad allora, con le elezioni nel mezzo, molte cose siano destinate a cambiare.
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