Il «personale politico» di Libuše Jarcovjáková, tra Praga e il mondo
Berlinale 74 Intervista con la regista Klára Tasovská, presentato nella sezione Panorama il suo doc "I’m Not Everything I Want to Be" dedicato alla "Nan Goldin dell'Est"
Berlinale 74 Intervista con la regista Klára Tasovská, presentato nella sezione Panorama il suo doc "I’m Not Everything I Want to Be" dedicato alla "Nan Goldin dell'Est"
«Del suo archivio, composto da un’enorme quantità di foto e diari, mi è subito piaciuta la brutale onestà con cui affronta temi personali. Una caratteristica che mi ha ricordato autrici come Annie Ernaux o Elena Ferrante». A parlare è la regista ceca Klára Tasovská e i materiali in questione sono l’opera della fotografa Libuše Jarcovjáková, al centro del documentario I’m Not Everything I Want to Be, presentato nella sezione Panorama.
Il film racconta il viaggio personale di Jarcovjáková attraverso le sue foto, rigorosamente in bianco e nero ma piene di calore, grazie ad uno sguardo prossimo ai soggetti nella loro intimità, e questo nonostante il Paese stesse attraversando uno dei suoi momenti più duri, la normalizzazione che seguì la Primavera di Praga. «Per me il personale è politico, volevo mostrare l’ambiente da cui Jarcovjáková proveniva, la situazione l’ha spinta a lasciare il Paese per andare prima a Berlino Ovest e poi a Tokyo. Ma nelle foto emergono temi ancora molto contemporanei come quello dell’identità sessuale» spiega Klára Tasovská.
Come è nata l’idea del film?
È stata una conseguenza della mostra di Libuše ai Rencontres de la photographie di Arles. Quando abbiamo iniziato a lavorare sul suo archivio ho notato molti autoritratti, un aspetto per me interessante perché volevo realizzare un documentario con un taglio personale sulla sua figura. Non è stato facile spiegare ai produttori, la tv ceca, di voler fare un film solo con fotografie, ma alla fine hanno accettato e anche se è stata una sfida credo sia stata la scelta giusta, con la voce di Libuše e la musica contemporanea a fare da contrappunto alle immagini in bianco e nero.
Tra le foto spiccano quelle realizzate al T-club, un posto evidentemente importante per la fotografa.
Quando Libuše ha lasciato il Paese era un momento difficile, non si poteva essere queer apertamente. C’era però qualche isola di libertà, a Praga c’erano un paio di locali gay, e uno di questi era il T-club. Era sottoterra, con tanta gente diversa, alcuni avevano anche delle famiglie «di copertura»…era pericoloso essere queer allora. Quando Libuše ha scoperto il posto si è innamorata di quell’ambiente e delle persone che c’erano, ha trovato lì una nuova famiglia. Con quelle foto abbiamo dato vita anche a delle scene dinamiche e abbiamo usato del colore, il perché il T-club era un luogo molto colorato in una Praga grigia e triste.
Le foto di Jarcovjáková ricordano per alcuni aspetti quelle di Nan Goldin: il bianco e nero, la vita pulsante di una scena «underground» di cui le stesse fotografe fanno parte. Ma nelle foto di Goldin, oltre all’aspetto artistico, c’è anche molta violenza; le foto di Jarcovjáková sembrano più umaniste.
Anche se non mi piacciono i paragoni sono d’accordo, e ad Arles Libuše è stata definita «la Nan Goldin dell’Est Europa». Ma anche se entrambe fanno foto ruvide di ciò che hanno vissuto, ci sono le differenze che hai evidenziato.
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